condizioni di lavoro: l’imposizione di orari
da prima rivoluzione industriale è sotto gli
occhi di tutto il mondo. Passando all’osser-
vanza delle normative più recenti, in par-
ticolare quelle ambientali statunitensi ed
europee, bisogna fare presente che esse
sono vincolanti per l’OEM, ma non esiste
sempre la garanzia tangibile che i rapporti
di conformità relativi ai prodotti Designed
for Environment (quindi dotati di life-cycle
assessment) siano assolutamente veritieri.
I sistemi elettronici di fascia alta non sono
commercializzabili in mercati rigorosi in
fatto di normative e il rischio di richiamo
non è per nulla trascurabile.
Tra le soluzioni prospettate dagli addetti ai
lavori si avanza la necessità di una rigorosa
distinzione di ruolo tra OEM e contract ma-
nufacturer: ai primi spetterebbe delegare la
fase produttiva solamente oppure anche il
progetto, purché siano salvaguardati con
certezza gli elementi costitutivi del ciclo
vita, nonché le norme legislative e specifi-
catamente i requisiti DfE. Queste preroga-
tive, comunque. sembrano concordare con
una tendenza alla rivendicazione a sé, da
parte degli OEM occidentali, di un ruolo di
generatori di idee di progetto più incisivo
rispetto al passato e quindi a reintrodurre
nella parte di ciclo di loro competenza le
fasi di prototipazione, NPI, EOL. Questa op-
zione, pur non essendo sicuramente esente
da costi, non è più opinabile né strangola i
budget, se gli obiettivi finali sono alta qua-
lità, apparecchiature ben manutenute, ri-
sorse umane di buon livello e soprattutto
mantenimento delle quote di mercato.
In sede di accordo, peraltro, gli OEM do-
vrebbero essere pedantescamente precisi
nell’indicare le condizioni regolatrici del
rapporto con la subfornitura e non nego-
ziare deroghe sulla necessità di far eseguire
audit da parte di società indipendenti e
imporre severe penali per deficienze nella
qualità del prodotto o del servizio offerti.
Se entrano in gioco variabili quali una
supply chain oculatamente organizzata,
servizi di consulenza, un PLM di alto livello,
è palese che l’aspetto meramente produt-
tivo e il fattore costo non costituiscano più
il solo aspetto da considerare nella scelta
della località più idonea dove realizzare il
prodotto.
Reshoring ovvero
‘rightshoring’
Il tema è molto sentito nel mondo statu-
nitense. Non mancano infatti coloro che,
anche per compensare la bilancia dei
pagamenti in deficit in molti segmenti
verticali dell’elettronica, invocano il rien-
tro della produzione nelle aree rurali con
appropriati incentivi fiscali e la creazione
di nuovi modelli strutturali di ricerca a par-
tecipazione mista privati/università. Ormai
il costo del lavoro non incide poi tanto da
inibire la creazione di impianti in tali aree,
quindi un OEM di media grandezza, che
impegna 50-100 milioni di dollari all’anno
in outsourcing, potrebbe rivoluzionare il
proprio approccio all’esternalizzazione.
Negli USA, dopo tanto insistere sulla de-
localizzazione in termini di outshoring,
si parla ora di reshoring, ossia di rientro
ai paesi di origine; alcuni, più accorta-
mente, hanno formulato il concetto di
‘rightshoring’, ossia di una localizzazione
‘intelligente’, che preveda l’impiego strut-
turalmente ottimale delle risorse esterne.
Esempio riuscito di rightshoring è quello di
un committente americano che realizzava
il 100% della produzione in Asia: ha trasfe-
rito a un contract manufacturer tailandese
la prima fase della produzione, pari al 30%
del prodotto finito, in seguito inviata per
il 40% a un terzista di Hong Kong. La fase
conclusiva della realizzazione viene invece
gestita negli Stati Uniti. Questo approccio
modulare ha portato a una riduzione dei
costi non indifferente e a un controllo effi-
cace dei costi di inventario.
Dall’altra parte, sul versante degli contract
manufacturer si sta assistendo a una ri-
definizione delle attività. Con il crescente
consolidamento e l’assottigliamento dei
margini aumenta la concorrenza e fa gioco
la differenziazione: il marketing sposta il
focus dalla guerra sul prezzo ai benefici
proponibili alla committenza. Il progetto
resta il perno intorno al quale poter svilup-
pare un vantaggio competitivo: per poterlo
contendere agli OEM gli EMS devono strin-
gere legami con gli specialisti (le pure-play
design company) oppure stabilire un piano
di accordi in cui entrino in gioco magari
quota del 46%. Al top si sono classificati, nell’ordine: Foxconn, Flextronics, Jabil,
Zollner, Celestica, Sanmina, Videoton, éolane, AsteelFlash, Enics. Compaiono in
classifica gruppi europei come la tedesca Zollner, l’ungherese Videoton, le francesi
éolane e AsteelFlash e la svizzera Enics. Da notare, tuttavia, che a eccezione di
Zollner i grandi gruppi internazionali che occupano i primi sei posti producono
in impianti ad alto volume localizzati nell’Europa centrale e occidentale, specifi-
camente per i segmenti 3C. Tuttavia, mentre Foxconn ha applicato tale strategia
in modo esclusivo, gli altri gruppi dispongono di un reticolo di siti distribuiti nei
paesi occidentali dove realizzano prodotti per i settori automotive, medicale,
controllo&strumentazione, industriale, energia e informatica di fascia alta.
GENNAIO-FEBBRAIO 2014
AUTOMAZIONE OGGI 369
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Fonte: www.st.gdefon.com
Fonte: www.aup.it