Uomini_Imprese_marzo_2014 - page 31

marzo 2014
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io invece preparo un attacco da qualche
curva prima, studio alternative, induco il
rivale all’errore e riesco a fare ciò che non
sembra possibile. Se c’è un contatto ed en-
trambi si finisce fuori ti prendi del cretino,
ma nella mia testa i conti tornano, per cui
ci credo. Molti grandi sorpassi mi sono ri-
usciti così.
Hai innovato ragionando e non sei stato
folle. Nel quotidiano andrebbero uniti
gli stimoli che arrivano dal cuore e dal
cervello. Seconda metafora, legata alla
bicicletta. Puoi metterti in testa di con-
quistare una salita, dimostrare a tutti
che ci riesci, per soddisfare il tuo ego. Ma
dopo non lo rifai, o lo rifai sempre con
sofferenza. Se invece per te è diverten-
te, ti piace e non rappresenta un mero
dovere, allora grazie al lavoro superi i
riferimenti precedenti. Non è più così
faticoso, perché ti dà gusto. Diventa una
routine piacevole e i progressi somma-
ti ti fanno incassare il risultato finale. È
qualcosa vissuto nello sport ma c’è molto
agonismo anche nel lavoro, verso i clien-
ti, contro la concorrenza. Credo che quei
due esempi, simbolici per quanto voglia-
mo, si possano applicare bene a livello
mentale anche lì”.
Però devo dire che tutti quelli con cui ho
lavorato, compreso Frank Williams in F1,
hanno in comune l’intelligenza viva e una
grande passione per ciò che fanno”.
Ha mai pensato di creare o gestire qual-
che attività personalmente? Un team au-
tomobilistico o qualche altra iniziativa?
“Assolutamente no! Ne sarei del tutto inca-
pace. Da un punto di vista aziendale ho colpi
fantasiosi e un intuito che produce trovate
molto interessanti, dal lato tecnico soprat-
tutto. Ma sono molto scarso a livello mana-
geriale, nella gestione di aspetti e compiti
che non sento miei e che dunque non svol-
gerei bene. E sono ruoli di cui non puoi fre-
gartene, devi seguirli e bene. E in più sono
abbastanza incapace di delegare e un buon
imprenditore deve saper delegare. Perciò,
me ne sto tra il mio che èmeglio…”.
Che parallelo farebbe tra l’esperienza di
uno sportivo del suo livello e quella di
una persona a capo di un’azienda?
“Posso utilizzare due metafore. Una lega-
ta alle auto da corsa, ovvero il coraggio
associato al sorpasso. Spesso, per certe
curve, capita che ti dicano: ‘Eh, lì non han-
no mai infilato nessuno, non si passa’. E
possibilista, fiducioso. Ecco, credo che que-
sto atteggiamento possa essere importante
per un imprenditore oggi”.
E che qualità dovrebbe invece privilegia-
re in questo periodo di crisi?
“Cercare di puntare su innovazione e svi-
luppo va sempre bene, ma ora si rischia
di essere un po’ in ritardo, sebbene racco-
gliere idee nuove sia sempre un’iniziativa
intelligente. Può essere uno sprone, anche
solo simbolico, per uscire dai guai. È inutile
generalizzare, nella piccola e grande indu-
stria italiana si vivono situazioni molto di-
verse. Ma metaforicamente possiamo dire
che ci sono la notte e il giorno, l’angoscia
che ti prende quando fa buio e tutto sem-
pre irrisolvibile e la luce che arriva ad aiu-
tarti, affrontando i problemi uno alla vol-
ta. C’è gente che si fa affliggere troppo e
psicologicamente non ne esce. Ricette ma-
giche non ne esistono, però la priorità può
essere l’identificare soluzioni semplici e
raggiungibili. Atteggiamento che può mo-
tivare anche chi hai intorno, i tuoi collabo-
ratori. E poi è importante tenere aperto il
dialogo con tutti i tuoi lavoratori”.
Che ricordi ha degli imprenditori in cui si
è imbattuto durante la sua vita? Chi è il
migliore con cui ha avuto a che fare?
“È molto difficile, nell’immediatezza di un
rapporto di lavoro, capire se un impren-
ditore è molto in gamba. Se sei uno degli
ingranaggi, per quanto importante come
può essere un pilota automobilistico, ti re-
lazioni con un capo che con te deve mante-
nere un atteggiamento né duro né tenero,
né da amico né da padrone. Io credevo che
Chip Ganassi, titolare del team con cui ho
vinto due campionati in Indycar, fosse mol-
to rispettato ma non troppo vicino a noi,
mi sembrava non potesse regalare amici-
zia. A suo avviso il rapporto di lavoro non
lo consentiva.
Magari altri proprietari di squadre cercava-
no un legame di maggior confidenza e poi,
davanti ai guai, avevano difficoltà a farsi
seguire dai dipendenti. Vista col senno di
poi, e non lavorando più con lui, devo dire
che Chip è stato duro, ma tutto quello che
ci serviva come squadra non è mai manca-
to. È un uomo ricco ma ha sempre reinve-
stito molti dei soldi che guadagnava per
rinnovarsi e tenere testa alla concorrenza.
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