dicembre 2013
35
Eni, Enel, Finmeccanica, Ferrovie dello
Stato. Altre imprese privatizzate non
hanno lo stesso splendore: Ilva, Alita-
lia, Telecom. Una cosa è certa, anche
l’Unione Europea punta a una nuova
rivoluzione che riporti l’industria in
Europa. A Bruxelles pensano che ora
più che mai l’Europa ha bisogno che la
sua economia reale sostenga la ripresa
economica. La Commissione Europea
ha fissato come obiettivo che il PIL,
proveniente dall’industria, dell’Unione
raggiunga il 20% entro il 2020. Affron-
tiamo questo importante e complesso
argomento con alcuni rappresentanti
delle aziende, il sindacato e il mondo
della ricerca. Vediamo, qui di seguito,
che cosa è emerso.
‘Piccolo è bello’ non basta più
Qual è il ruolo delle grandi imprese
italiane per lo sviluppo economico del
nostro Paese? “È un ruolo sempre più
importante - ha esordito Giuseppe
Recchi, presidente Eni -. Oggi solo le
grandi imprese possono sostenere gli
investimenti adeguati per ambire alla
leadership tecnologica e a una presen-
za diffusa in tutti i mercati internazio-
nali di interesse. E solo le grandi azien-
Can a country like Italy compete in the
world without an adequate number of large
corporations? Do our small and medium-sized
enterprises (SMEs) have the strength to conquer
new market shares in the global economy? What
is the government’s role in this seemingly endless
crisis? Here is a synopsis of the opinions of
Susanna Camusso (Cgil), Paolo Andrea Colombo
(Enel), Giuseppe Recchi (Eni) , Secondo Rolfo
(Ceris -Cnr).
In our country, the number of factories that are
closing and disappearing is dramatic. Might Italy
be looking at a future without businesses that
employ thousands of people? In the ‘80s, the ‘small
is beautiful’ ethos seemed the most appropriate
response to the market at the time. Is that still the
case today? We don’t think so. Europe’s second
largest manufacturing economy cannot hold up
without a significant number of large industries.
The way out of the crisis is necessarily through
exports, internationalization and innovation.
But the investments required are prohibitive for
small businesses. One solution is certainly to form
an alliance and create a large network of SMEs.
Indeed, a few far-sighted entrepreneurs have
already figured this out. The synergies that could
result from this business model would make Italian
manufacturing competitive. When big companies
buy equipment for their facilities around the
world, they also want assistance in real time. Only
the aggregation of multiple entities can give added
value to their products, from components and
machine tools to services and factory automation.
Here then is how the robustness and efficiency of
large-scale industry can contribute to improving
competitiveness both through direct investment
and by acting as a catalyst for small and medium-
sized enterprises, putting them in a position
to tackle global markets and optimize their
innovative potential.
L’
importante è avere un pro-
getto industriale serio. Non
importa se nasce dall’iniziati-
va privata o tramite l’intervento della
mano pubblica. Del resto in Europa e
in USA il capitalismo di Stato è abba-
stanza diffuso. Dal settimanale L’E-
spresso, dello scorso ottobre, rileviamo
che in Francia l’Ape (l’agenzia che in
portafoglio le partecipazioni pubbli-
che di una serie di aziende) sta esami-
nando un intervento in Peugeot, dove
Stato e i cinesi di Dongfeng darebbero
atto a una ricapitalizzazione. La Ger-
mania attraverso il Kfw (cassa depositi
e prestiti tedesca) ha supportato la sua
partecipazione nell’industria aeronau-
tica, franco-tedesca, Eads. Negli Stati
Uniti il presidente Obama caldeggia il
ritorno dell’industria manifatturiera
made in USA, al fine di creare nuova
occupazione. In Italia le Poste entrano
nel capitale di Alitalia. Quindi, non è
uno scandalo l’intervento dello Stato.
E’ bene ricordare che nel nostro Paese
lo sviluppo della grande industria, nei
decenni passati, è stato realizzato da
un forte sostegno della mano pubblica.
Alcune (poche) importanti aziende che
operano su scala internazionale sono
Big industry,
SMEs and the State: