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rmo

gennaio/febbraio 2016

molto grande di aree applicative e di settori industriali.

Le tecnologie che intervengono direttamente nel pro-

cesso produttivo sono invece ancora in uno stato di re-

lativa immaturità, e devono ancora finire di beneficiare

di importanti evoluzioni che permetteranno di utilizzarle

controbilanciando i costi di introduzione e sviluppo.

Le smart technology portano con sé un modello di ado-

zione fatto da ecosistemi, più che da singoli fornitori. È

proprio sfruttando l’ecosistema che il potenziale delle

singole tecnologie emerge, e i tempi e i costi di imple-

mentazione sono ridotti. Un elemento che differenzia

profondamente le smart technology dalle traditional

solution è il fatto che esse sono figlie della internet eco-

nomy, portando all’estremo un modello di offerta al

mercato fatto da ecosistemi che offrono servizi comple-

mentari, piuttosto che non da singoli fornitori con un’of-

ferta completa. Dalla ricerca emerge con chiarezza che

il vero potenziale delle smart technology si libera solo

con un uso sapiente delle risorse giàmesse a disposizione

dell’ecosistemadi riferimento, secondo i principi SOA/API,

ovvero incorporando servizi e funzionalità già realizzate

da altri attori (fisici e più spesso virtuali). In questo modo,

con la stessa semplicitàe velocità con cui uno sviluppatore

arricchisceuna app con funzionalitàdi geo-localizzazione

o di login sicuro, così un operation manager può dise-

gnare un’applicazione smartmanufacturing completa ed

efficiente. Perché lo smart manufacturing prenda piede

in Italia, in definitiva, è necessario creare un ecosistema

cheprescindadallavolontàdi qualunqueazienda singola,

ma richieda invece un atteggiamento collaborativo verso

un obiettivo comune.

@Vanamonde65

limiti storici di acquisizione delle informazioni e di coope-

razione tra attori e risorse”.

La mancanza di cultura digitale.

Il problema da af-

frontare, dunque, è che il cammino verso l’adozione

dello smart manufacturing è rallentato in Italia da diversi

fattori contestuali, culturali, organizzativi e di capacità

dell’offerta. Tra le principali barriere ci sono le ridotte di-

mensioni delle nostre imprese, che non sono in grado di

operare alla corretta scala per gli investimenti necessari,

e la cui libertà d’azione è talvolta limitata dall’apparte-

nenza a Gruppi multinazionali.

Altro grosso limite è quello della carenza di cultura digi-

tale nelle decisioni per l’adozione delle nuove tecnolo-

gie, aggravata dalla difficoltà del quantificarne in modo

immediato i benefici. Il tutto aggravato dall’assenza di

equilibrio tra ‘operational technology’ e ‘information

technology’, che nelle organizzazioni sono spesso mondi

totalmente segregati, mentre il nuovo paradigma ri-

chiede invece che siano comunicanti.

Atuttoquestosi aggiungono i problemi con i fornitori che,

nella percezione delle imprese, tendono a ‘monetizzare’

commercialmente l’innovazione proposta, più che a sup-

portare la comprensione della portata del cambiamento.

L’importanza degli ecosistemi.

Dai risultati di que-

sta prima analisi emerge che sono le tecnologie di

matrice puramente informatica quelle più mature per

entrare a far parte dei processi aziendali; questo vale in

particolare per ‘internet of things’ e ‘manufacturing big

data’, ma è il ‘cloud manufacturing’ l’area che si rivela

potenzialmente più versatile, sfruttabile in un numero

A sinistra, la presidenza del convegno; a destra, il pubblico in sala.