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Efficiency & Environment - Marzo 2016
dello zolfo durante la raffinazione del petrolio e
durante l’estrazione del gas naturale.
In questi casi in genere si ha a che fare con
idrogeno solforato o con solfuri che possono
essere trattati con processi chimici che
consentono il recupero di zolfo in forma
vendibile. È stato così riscoperto un processo
che era stato inventato nell’Ottocento dal
chimico Friedrich Claus per recuperare zolfo dal
solfuro di calcio, sottoprodotto dell’industria del
carbonato di sodio. L’idrogeno solforato ottenuto
dal solfuro di calcio, e ora dai gas naturali acidi
e dai gas di raffineria, viene dapprima in parte
ossidato ad anidride solforosa. Questa, per
reazioni, abbastanza complicate, con altro
idrogeno solforato, produce zolfo:
2 H 2 S + 4 O 2
➔
2 SO 2 + 4 H 2 O, e poi: 4 H 2 S + 2 SO 2
➔
6 S + 4 H 2 O.
Il processo Claus, un vero e proprio caso di
economia circolare, ha portato una rivoluzione
nel mercato mondiale dello zolfo; ha reso
antieconomica l’estrazione dello zolfo col
processo Frasch e addirittura nel mondo c’è
oggi un eccesso di zolfo rispetto alla richiesta.
Merci dall’anidride carbonica
Restava un secondo inconveniente: la
combustione del carbonio dei combustibili
fossili genera, per reazione con ossigeno,
anidride carbonica, un gas non nocivo per la
salute, fino a quando la sua concentrazione
nell’atmosfera è bassa, utile e anzi indispensabile
per la crescita della vegetazione. Se non che, con
il crescente uso di combustibili fossili, si è visto
che la concentrazione di anidride carbonica
nell’atmosfera aumentava troppo; all’inizio del
Novecento, il fisico Svante Arrhenius aveva fatto
dei conti e aveva suggerito che un aumento della
concentrazione di CO 2 nell’atmosfera avrebbe
potuto modificare l’equilibrio fra l’energia solare
in arrivo sulla Terra e il calore rigettato dalla Terra
nello spazio, al punto da provocare un lento
graduale aumento della temperatura media del
pianeta. All’inizio del secolo scorso la quantità di
anidride carbonica presente nell’atmosfera era di
circa 2.300 miliardi di tonnellate, corrispondente
ad un valore di circa 280 ppm in volume. Nel 2015
è diventata di oltre 3.000 miliardi di tonnellate,
pari a circa 400 ppm in volume. Ogni anno le
attività umane immettono nell’atmosfera circa
40 miliardi di tonnellate di CO 2 , circa venti delle
quali si aggiungono a quella già esistente; una
situazione insostenibile, come hanno dovuto
rendersi conto i rappresentanti di tutti i Paesi
nella conferenza del dicembre 2015 di Parigi sui
cambiamenti climatici.
Per rallentare l’irreversibile riscaldamento
terrestre è stato proposto di aumentare la superficie di boschi
e di impedire la distruzione delle foreste esistenti. Oppure
si potrebbero raccogliere i gas che escono dal camino delle
centrali termoelettriche e di grandi caldaie, che peraltro
contengono CO 2 diluita in un volume sei volte più grande di
altri gas, concentrarla per assorbimento su ammine come
etanolammina e convogliarla in tubazioni per immetterla
nei mari, in superficie o a grande profondità dove la CO 2 per
l’elevata pressione, diventa liquida e può stratificarsi sul fondo,
con l’inconveniente che la CO 2 che si scioglie nelle acque
marine ne fa aumentare l’acidità con turbamento dei cicli
biologici.
Altri hanno proposto di immettere la CO 2 raccolta dai camini,
nelle caverne sotterranee lasciate libere dopo l’estrazione
di sale, di petrolio o di gas naturale, oppure di iniettarla
sotto pressione nei giacimenti petroliferi con il vantaggio,
affermano, di aumentare la quantità di petrolio estratto.
L’economia circolare suggerisce invece di utilizzare la CO 2
per trarne prodotti commerciali; la CO 2 occorre in alcune
sintesi chimiche come quella dell’urea, ma in questo caso la
fonte privilegiata è l’utilizzazione della CO 2 più concentrata
che si forma come sottoprodotto di altre reazione come la
sintesi dell’ammoniaca.
Ai fini dell’uso della CO 2 -rifiuto delle combustioni presenta
qualche migliore prospettiva la possibilità di riciclare il
carbonio che essa contiene con processi C1, a ‘un-solo-
atomo-di-carbonio’. Dal punto di vista chimico la cosa è non
solo attraente ma anche possibile, a condizione di disporre di
un agente riducente e poco costoso che ‘porti via’ l’ossigeno
dalla CO 2 . Naturalmente la prima sostanza che viene in mente
è l’idrogeno il quale però, al di là del costo monetario, ha un
elevato costo energetico. L’idrogeno potrebbe essere ricavato
dal trattamento elettrolitico dell’acqua che però richiede
circa 40-50 chilowattore di elettricità per ogni chilogrammo
di idrogeno. Inutile dire che qualcuno propone sempre di
Quando una miniera è abbandonata, nelle gallerie continua a liberarsi metano
che raggiunge la superficie del suolo e si libera nell’aria aggiungendosi alle altre
fonti di questo gas serra, provenienti da agricoltura e zootecnica
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