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SETTEMBRE 2013
FIELDBUS & NETWORKS
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Fieldbus & Networks
Rfid passivi fino ai 30-150 euro per i nodi con capacità sensoriale
e/o di attuazione. Infine, la vita operativa spazia da alcuni anni per
i dispostivi alimentati a batteria (fortemente dipendente dal tipo di
applicazione), fino a superare i dieci anni per i tag Rfid passivi.
Le unità del secondo livello, quello definito ‘mediazione’, di cui fanno
parte i lettori di tag Rfid e i gateway, hanno il compito di raccogliere
le informazioni dai nodi di primo livello per veicolarle ai centri di
controllo. Tali unità sono caratterizzate da una maggiore capacità di
elaborazione e memoria, sono generalmente alimentate dalla rete
di distribuzione fissa e hanno un costo che può variare molto, dai 50
euro di un nodo gateway ai 2.000 euro circa di un reader Rfid.
Le unità facenti parte del terzo livello, o ‘centro di controllo’, ossia i
sistemi di acquisizione centrali e le sale operative, hanno il compito
di ricevere le informazioni dalle unità di secondo livello per le suc-
cessive fasi di memorizzazione, elaborazione e messa in fruibilità dei
dati. Il costo di queste unità può variare da 1.000 a 10.000 euro circa,
trattandosi di calcolatori di fascia medio-alta.
Per tag e lettori Rfid l’offerta tecnologica è ormai consolidata, lo
stesso non vale però per le reti di sensori, in quanto i nodi sensore
e i gateway non sono ancora caratterizzati da soluzioni standardiz-
zate né in termini di hardware (Mica Motes, Sunspot, Jennic ecc.),
né di software (Tiny OS, SOS, Mantis, Contiki, FreeRtos ecc.), né
di middleware (Tiny DB, GSN, DNS, Sword ecc.). Diversamente, le
unità appartenenti al terzo livello godono di una maggiore maturità
tecnologica, che si appoggia ad architetture consolidate per server,
interazione client-server e basi di dati.
La mancanza di standardizzazione nelle unità dei primi due livelli
ha portato al consolidarsi di un approccio ‘ad hoc’, cioè volto all’ot-
timizzazione della singola applicazione, per esempio sotto il profilo
energetico, piuttosto che all’astrazione dallo specifico problema ap-
plicativo a favore di uno sviluppo utile a una più ampia classe di
applicazioni. Questa eterogeneità di soluzioni è ancora più evidente
se si considerano i meccanismi di comunicazione tra i dispositivi,
con soluzioni specifiche per singolo ambito. Per esempio, parlando
di smart home&building, la tecnologia usata per l’interconnessione
tra i dispositivi di livello 1 e livello 2 dipende dallo specifico sce-
nario applicativo. Troviamo quindi sia tecnologie radio come Ieee
802.15.4/Zigbee, ZWave, Bluetooth, UWB, sia tecnologie cablate
quali le Power Line Communication.
Similmente, nel settore denominato smart city&smart environment
esiste una distinzione netta tra le tecnologie di comunicazione
dell’ultimo miglio e le soluzioni di comunicazione per la creazione
dell’infrastruttura di back-end. Anche in questo caso, a seconda dello
scenario applicativo le tecnologie di ultimo
miglio variano da Zigbee, Wireless M-BUS,
Wifi e Bluetooth, mentre l’infrastruttura di
back-end si appoggia generalmente alla
tecnologia cellulare 2G, 2G+, 3G, Wireless
Mesh o Power Line Communication. L’inte-
roperabilità a livello di oggetti (e non solo
di dati) permetterebbe una naturale evolu-
zione della modalità di progettazione delle
reti per la Internet of Things, passando da
un approccio verticale (progettazione ad
hoc di hardware, software, comunicazione
e applicazione) a un approccio orizzontale
(progettazione di applicazioni sfruttando
reti di sensori che sono interoperabili tra
loro a livello di dispositivo). Tale approc-
cio orizzontale permetterebbe di ridurre la
barriera in ingresso data dalla necessità
di conoscere la tecnologia in tutti i suoi
aspetti (hardware, software, architetture
di rete e comunicazione) a vantaggio di
una semplificazione della fase di progettazione e di una maggiore
customizzazione della soluzione tecnologica considerata.
Standardizzazione dei protocolli di
comunicazione
Un aspetto fondamentale della futura Internet of Things è poi rap-
presentato dalla standardizzazione dei protocolli di comunicazione
e applicativi tra i dispositivi. Esempi lampanti (non unici) di questa
evoluzione, di cui si trova evidenza nelle applicazioni citate, riguar-
dano senza dubbio il lavoro della Zigbee Alliance, per la definizione
e promozione dello standard Zigbee, e della Ipso Alliance, per la
definizione dello standard 6LowPAN. Pur trattandosi di approcci
fondamentalmente diversi, le due filosofie di lavoro condividono lo
stesso obiettivo: la necessità di garantire interoperabilità tra i singoli
dispositivi della Internet of Things.
Nello specifico, la ZigBee Alliance raccoglie importanti vendor di
sistemi dedicati, di moduli radio, di microprocessori/microcontrol-
lori, di elettrodomestici e di sistemi di domotica. L’approccio Zigbee
definisce diversi ‘profili applicativi’ condivisi da tutti i dispositivi che
cooperano alla realizzazione di un determinato servizio, garantendo
interoperabilità tra apparati di diversi rivenditori. L’obiettivo dell’ap-
proccio 6LowPAN è invece di utilizzare sui dispositivi fisici gli stessi
standard di comunicazione dell’Internet classico IPv6+TCP, rendendo
quindi i dispositivi stessi accessibili con le stesse procedure (e proto-
colli) con cui si accede per esempio ai server Web.
Al momento, l’approccio Zigbee presenta una maturità e una massa
critica maggiore, anche in ragione del fatto che i lavori della Ipso
Alliance sono iniziati da poco. Esistono tuttavia già soluzioni ibride
in cui tale approccio sfrutta primitive di comunicazione 6LowPAN.
Fig.3 - La Internet of Things del presente: architettura di riferimento
Fonte: Osservatori.net
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