Uomini_Imprese_marzo_2014 - page 45

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che sui temi di finanza pubblica, sull’esi-
genza di “una complessiva, radicale e cre-
dibile strategia di riforme, inclusa la piena
liberalizzazione dei servizi pubblici locali e
dei servizi professionali. Questo dovrebbe
applicarsi in particolare alla fornitura di
servizi locali attraverso privatizzazioni su
larga scala”.
La cronaca politica dei due anni e più tra-
scorsi da allora racconta, purtroppo, tutta
un’altra storia. A dispetto di alcune zampa-
te riformiste (come sulle pensioni) e delle
correzioni del bilancio pubblico, seppure
giocate in larga misura dal lato delle mag-
giori entrate, le sollecitazioni di Draghi e
Trichet sono andate in buona parte disat-
tese. In particolare, sembra essersi perso lo
spirito di apertura che animava lo sforzo
di introdurre maggiore concorrenza nei
mercati. Eppure, è lì che si gioca una buo-
na parte del futuro italiano: non vi è analisi
internazionale (Ocse, Fondo monetario,
Commissione Ue) o nazionale (Banca d’I-
talia, Antitrust) che non punti il dito sulla
insufficiente liberalizzazione dei mercati
dei servizi.
Un possibile tesoretto
Un gruppo di economisti di Bankitalia, al-
cuni anni fa, ha cercato di stimare il costo
della poca concorrenza per il nostro Paese,
trovando un risultato preoccupante ma
anche incoraggiante (se lo si prende come
la prova di un’opportunità di crescita). La
chiusura dei mercati, ragionavano, deter-
mina il consolidarsi di posizioni di rendi-
ta, che assumono la forma di un markup
mediamente maggiore ai livelli comuni
altrove in Europa sul costo dei servizi. Se,
attraverso una competizione più feroce, gli
‘extraprofitti’ dei monopolisti (o quasi mo-
nopolisti) potessero essere ridotti, il nostro
Paese potrebbe veder lievitare (nel me-
dio termine) il Pil dell’11%, l’occupazione
dell’8%, gli investimenti del 18% e i salari
reali del 12%. Queste cifre vanno prese con
cautela, visto il tempo trascorso da quando
vennero stimate e il sostanziale cambia-
mento di scenario intervenuto, ma restano
qualitativamente valide. L’Italia sta seduta
su un tesoretto che non sfrutta.
I margini, però, ci sarebbero eccome. Da
alcuni anni l’Istituto Bruno Leoni tenta di
misurare il grado di liberalizzazione dell’e-
conomia italiana, in svariati settori, attra-
verso il suo Indice delle liberalizzazioni. Nel
2013, l’Indice ha subito una profonda revi-
sione metodologica, che lo rende adesso
uno strumento con un contenuto informa-
tivo assai più vasto. Infatti, se in preceden-
za ci limitavamo a confrontare l’apertura
al mercato dell’Italia con quella di un Paese
benchmark per ciascun settore, adesso il
confronto investe tutti i Paesi dell’Ue15.
Per ciascun settore, il Paese più liberalizza-
to riceve un punteggio pari a 100, quello
più ostile alla concorrenza viene invece va-
lutato pari a zero. In tal modo è possibile
sia osservare il grado di sviluppo dei diversi
mercati nei vari Paesi, sia cogliere la strada
che è stata fatta e quella che resta da com-
piere, in base al presupposto che più com-
petizione è lo strumento per rilanciare la
crescita, e questa caratteristica è tanto più
importante in un’epoca di inevitabile rigo-
re e austerity. Allo scopo di rendere il con-
fronto immediato, per ciascun Paese viene
calcolato un indice di liberalizzazione com-
plessivo, pari alla media dei punteggi otte-
nuti nei singoli settori. Figura 1.
Dal primo all’ultimo...
Il Paese più liberalizzato, tra quelli consi-
derati, è il Regno Unito, con un punteggio
Liberalization:
where are we?
On August 5, 2011 Mario Draghi and
Jean- Claude Trichet - respectively
incoming and outgoing president of
the European Central Bank - wrote
to the Italian prime minister, Silvio
Berlusconi, urging “significant measures
to increase the growth potential of
the country.” The letter marked the
beginning of the end of the Cavaliere’s
reign, and soon determined the
conditions that led to the interim
government of Mario Monti first, and
the ‘broad coalition’ of Enrico Letta
following the elections of February
2013.
In the message from Frankfurt,
particular emphasis was placed not
only on issues of public finance, but on
the need for “a comprehensive, radical
and credible reform strategy, including
the full liberalization of local public
and professional services. This should
be applied particularly with regard to
the provision of local services through
large-scale privatization.”
The political events of the 2-plus
years that have since passed recount,
unfortunately, another story. In spite of
some attempts at reform (e.g. pensions)
and the corrections of the public budget,
although relying heavily on increased
revenues, the suggestions of Draghi and
Trichet have gone largely unfulfilled.
In particular, the spirit of openness
that inspired the effort to introduce
more competition in the markets seems
to have been lost. Yet, it is on this that
much of Italy’s future depends: there
exists no international analysis (Oecd,
IMF, EU Commission ) or national one
(Bank of Italy, Antitrust ) that does not
indicate insufficient liberalization of
service markets as the root cause.
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