marzo 2014
46
pari all’84%, seguito da Paesi Bassi (76%)
e Svezia (62%). Queste nazioni si distin-
guono per una generale propensione alla
concorrenza, che si riflette nel modo in cui
regolamentano tutti i settori qui consi-
derati (distribuzione carburanti, mercato
del gas, mercato del lavoro, mercato elet-
trico, servizi postali, telecomunicazioni,
televisioni, trasporti aerei e trasporti fer-
roviari). Il settore nel quale il Regno Unito
ha la performance peggiore, per esem-
pio, sono i servizi postali, dove comun-
que il risultato è prossimo alla sufficienza
(58%). Va peraltro detto che una delle
ragioni che avevano portato a penaliz-
zare la Gran Bretagna era il persistere di
un operatore dominante, Royal Mail, che
proprio alla fine del 2013 è stato parzial-
mente privatizzato, con una prospettiva
di maggiore contendibilità a tendere.
Per il resto, Londra eccelle in ambiti quali
i carburanti, il mercato del lavoro, le te-
lecomunicazioni e i trasporti aerei: tutti
settori dove ottiene il massimo dei voti,
essendo il Paese più liberalizzato d’Eu-
ropa. I Paesi Bassi guidano la classifica in
due settori (elettricità e poste), mentre la
Svezia, che eccelle nei trasporti ferroviari,
ottiene invece la maglia nera nel mercato
del gas, fortemente monopolizzato. Se ci
spostiamo in coda alla classifica, troviamo
Danimarca (41%), Grecia (36%) e, cene-
rentola europea della concorrenza, l’Ita-
lia (28%). La Danimarca, tolto l’84% nel
mercato del lavoro, ottiene punteggi me-
dio-bassi in tutti i settori, e in particolare
nel mercato elettrico. La Grecia può inve-
ce ‘vantare’ due zeri: il mercato del lavo-
ro più rigido d’Europa, e i trasporti ferro-
viari meno permeabili alla concorrenza.
Va precisato che quest’ultimo settore è
tipicamente vittima di monopoli pubbli-
ci pervasivi, sicché - con poche eccezio-
ni, tra cui le più notevoli sono Svezia e
Gran Bretagna - i risultati sono deludenti
ovunque. Tuttavia, anche negli altri am-
biti Atene conquista posizioni assai poco
confortanti. Esattamente come il nostro
Paese (Figura 2).
Il caso Italia
L’Italia ottiene valutazioni positive solo in
due settori: il mercato gas e il trasporto ae-
reo. Nel primo ciò è conseguenza in parte
di scelte precise (la rivisitazione delle rego-
le per l’assegnazione della capacità di tra-
sporto sui gasdotti internazionali), in parte
è del tutto inintenzionale (la recessione,
abbattendo la domanda, ha innescato di-
namiche competitive che nessuno si aspet-
tava). Nel caso degli aerei, settore comun-
que tendenzialmente aperto ovunque
grazie all’effetto benefico delle direttive
europee, paradossalmente il nostro Paese
è avvantaggiato dalla concorrenza resa
possibile dalla debolezza dell’ex mono-
polista. La parziale rinazionalizzazione di
Alitalia, con l’ingresso di Poste nel suo ca-
pitale sociale, può però portare cattive sor-
prese nell’edizione 2014. Per il resto, la fo-
tografia del nostro Paese è assai deprimen-
te: siamo ultimi in un settore (televisione)
e rasentiamo lo zero in altri tre (poste col
2%, carburanti con l’8% e mercato del la-
voro con l’11%). Tutti questi ambiti hanno
in comune sia la presenza di un operatore
dominante in mani pubbliche, sia di una
pervasiva regolamentazione che, anziché
oliare la concorrenza, finisce per elevare
barriere all’ingresso e limitare la libertà di
scelta dei consumatori. In tal modo, però,
si finisce per ostacolare l’innovazione, ri-
durre gli incentivi al miglioramento della
qualità dei servizi e in ultima analisi soste-
nere i prezzi su livelli eccessivi, tali da incor-
porare extraprofitti oppure extracosti (che,
in fondo, sono due facce della stessa meda-
glia, perché in entrambi i casi i consumato-
ri sono costretti a pagare più del necessario
per garantire una remunerazione eccessiva
ad alcuni dei fattori della produzione).
Come sempre, se il bicchiere sia mezzo pie-
no o mezzo vuoto dipende in buona misu-
ra dall’occhio di chi guarda. Tuttavia, c’è
un modo oggettivo di valutare la situazio-
ne: nella situazione italiana c’è un rischio e
c’è un’opportunità. Il rischio è quello dell’i-
nerzia e, dunque, della decrescita. L’oppor-
tunità sta invece nella ripresa di quel corag-
gio riformista che, nel passato, ha spinto il
nostro Paese verso una progressiva apertura
al mercato. Se infatti la situazione è ancora
critica, non dobbiamo dimenticare che die-
ci o vent’anni fa l’Italia era un altro pianeta
rispetto a quello che è oggi. Poi lo slancio si
è, per varie ragioni, bloccato. La grande do-
manda, dalla cui risposta dipende il tipo di
Paese che ci troveremo ad abitare tra un de-
cennio, è se questa pausa di pericoloso ‘caos
calmo’ sia stata una parentesi, o un ritorno
alle prassi di sempre.
Carlo Stagnaro - (Twitter@CarloStagnaro) è direttore
ricerche e studi dell’Istituto Bruno Leoni.