si farà il punto dei risultati conseguiti e gli Indc
dovranno essere più ambiziosi dei precedenti.
L’Accordo si configura quindi come strumento
flessibile, che si dovrà adattare all’evoluzione
delle emissioni globali: ogni Paese può modifi-
care in ogni momento i suoi impegni, tutti sono
comunque chiamati a farlo ogni cinque anni.
L’Accordo è stato salutato come un successo
da molti commentatori, nonché dai rappresen-
tanti di quasi tutti i governi. Anche le voci cri-
tiche hanno riconosciuto che a Parigi “la ruota
dell’azione climatica ha girato”, ossia c’è stato
un avanzamento. La sintesi di George Monbiot,
uno dei più autorevoli giornalisti che seguono
la questione climatica, è efficace: “In confronto
a ciò che avrebbe potuto essere, è un miraco-
lo. In confronto a ciò che dovrebbe essere, è
un disastro”. Hanno un fondamento dunque le
critiche che vedono l’accordo troppo poco am-
bizioso; ma la mancanza di ambizione deriva
dall’enorme ritardo accumulato nel decennio
passato, il merito dell’Accordo di Parigi è sem-
mai di aver costruito un sistema che permetterà
in futuro un aumento dell’ambizione con il raf-
forzamento degli impegni. Un lungo applauso,
liberatorio, ha salutato l’approvazione dell’Ac-
cordo la sera del 12 dicembre 2015, ed è legit-
tima la soddisfazione per un accordo migliore
di quanto ci si sarebbe potuti aspettare. Ma l’entusiasmo va
temperato con la consapevolezza della lentezza e della fatica
fatta registrare fino ad oggi dal negoziato sul clima, e della
grande sfida che chi ha sottoscritto l’Accordo di Parigi, pren-
dendolo seriamente, ha deciso di accettare. Come ha com-
mentato il commissario europeo all’azione sull’Energia e il
Clima, Arias Cañete, “oggi possiamo festeggiare, da domani
dobbiamo agire”.
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