Cyber security: un eterno cigno nero
La sicurezza informatica è sempre più attuale come tema 'mediatico', ma a fronte di investimenti in information security per il 2016 dell’ordine di quasi 1 miliardo di euro, con un aumento del 5% sul 2015, solo una grande impresa su due ha in organico un manager per la gestione della sicurezza informatica...
Cresce tra le imprese la consapevolezza del rischio cyber, ma è anche in forte aumento la fragilità delle aziende di fronte a queste tipologie di minaccia. Lo specchio del problema emerge a tutto tondo dell’annuale indagine promossa dall’‘Osservatorio Information security e privacy’ promosso dal Politecnico di Milano.
La sicurezza informatica sta diventando una tematica sempre più importante e attuale anche per le aziende in Italia. Quasi un miliardo di euro, per la precisione 972 milioni, con un aumento del 5% sull’anno precedente, è quanto hanno investito nel 2016 le imprese italiane con almeno dieci addetti alla voce information security.
Se spostiamo lo sguardo sullo scacchiere internazionale, secondo la IV° edizione dell’indagine di Zurich sulle PMI, che ha intervistato oltre 2.600 imprese in 13 paesi nel mondo, i maggiori timori connessi al cybercrime sono:
– il furto di dati dei clienti (27%),
– i rischi legati alla reputazione aziendale (20%),
– furti di denaro (15%),
– interruzione del business (15%),
– appropriazione dolosa dell’identità (12%).
Solo il 5% delle PMI ritiene di avere implementato sistemi IT in grado di far fronte a minacce informatiche nel 2016, mentre nel 2015 la quota raggiungeva l’8%.
Emergono lacune estese e mancanza di protezioni efficaci tra le misure concrete prese dalle aziende. Infatti, secondo gli oltre 700 intervistati che hanno partecipato alla Cyber Risk Survey 2016 realizzata da Marsh, si registra una moderata crescita di consapevolezza e di pro-attività nell’affrontare la minaccia cyber, che viene citata tra i primi cinque rischi dal 32% delle imprese, e figura tra i principali rischi mappati da un altro 41% degli intervistati, registrando un totale di 73 aziende su 100 che hanno compreso quanto sia fondamentale oggi monitorare il cyber risk. Tuttavia, se da un lato la preoccupazione riguardo ad attacchi cyber cresce e il 31% delle aziende sostiene di avere una completa comprensione del rischio (una percentuale che registra un incremento del 50% rispetto al 2015), solo il 14% di queste colloca il presidio del rischio cyber fra le responsabilità dirette del consiglio di amministrazione, mentre il 68% lo riconduce unicamente alla responsabilità della funzione IT.
“Analizzando le fonti e indagini più recenti sul tema cyber security” commenta Alessandro De Felice, presidente di Anra, associazione che dal 1972 raggruppa i risk manager e i responsabili delle assicurazioni aziendali, “emerge il dato inequivocabile che solo una grande azienda su due ha un manager per la gestione della sicurezza informatica. E addirittura solo un’impresa su sei dispone di un piano pluriennale di difesa con riferimenti al piano industriale, anche se questo numero arriva al 58% tra le grandi società quotate. Troppo spesso manca una cabina di regia che organizzi difese efficaci in un’ottica di medio-lungo periodo e le sottoscrizioni delle polizze assicurative contro i cyber-rischi e i danni causati a terzi sono ancora basse, in quanto vengono siglate solo da un’impresa italiana su sette. Un quadro questo che mostra come la cultura del rischio cyber sia ancora troppo lacunosa, nonostante proclami a effetto che leggiamo costantemente sui media. Come associazione da anni affrontiamo anche questa specifica minaccia in corsi e seminari dedicati e, forti delle competenze maturate, mettiamo a disposizione di aziende e professionisti percorsi finalizzati a strutturare in modo consapevole e informato l’infrastruttura di base per la gestione dei rischi cyber”.
“Uno strumento interessante, che anche le imprese dovrebbe osservare, è quello che sta mettendo a punto il team per la Trasformazione Digitale del Governo italiano” aggiunge De Felice. “Infatti, sta per essere pubblicata una policy di responsible disclosure nazionale, che sarà fondamentale per la Pubblica Amministrazione per comunicare con la comunità italiana e internazionale di ethical hacker, i cosiddetti ‘hacker buoni’. Inoltre, la PA potrà in questo modo agevolare la rapida risoluzione dei problemi di sicurezza e minimizzare i rischi per i dati personali dei cittadini”.
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