Cobat: il processo di riciclaggio delle batterie al piombo esauste

Dalla rivista:
Automazione e Strumentazione
Il riciclaggio delle batterie esauste è di fondamentale importanza, per i vantaggi sia economici sia ambientali ad esso collegati. Se non fosse possibile il riciclo, infatti, lo smaltimento delle batterie potrebbe avvenire solo con l’abbancamento in discariche idonee a ricevere rifiuti tossico-nocivi. Quest’ultima soluzione risulterebbe oltremodo onerosa sia per gli eccessivi costi della discarica sia per il mancato recupero e valorizzazione del metallo Pb e di alcune componenti plastiche, oltreché dannosa per l’ambiente. Il metallo riciclato dalle batterie esaurite rappresenta oltre il 40% della produzione italiana di piombo nonché il 37% del fabbisogno nazionale di metallo. Tale produzione secondaria richiede altresì minore energia rispetto a quella necessaria per la lavorazione del minerale.
La pericolosità delle batterie esauste
Le batterie, per la loro composizione, una volta esaurita la loro funzionalità sono dei rifiuti tossici pericolosi per l’ambiente. Il piombo è un metallo pericoloso che non deve essere disperso nell’ambiente. Allo stato metallico, come quello che si ritrova negli elettrodi a griglie delle batterie, esso è scarsamente solubile in acqua, ma può sempre trovare una via di diffusione nella matrice biologica.
La parte attiva, costituita da ossido di piombo, applicata alla griglia, subisce alcune reazioni chimiche artificiali o naturali che lo trasformano in sali o altri composti del piombo generalmente più solubili e, quindi, più pericolosi e maggiormente disperdibili nell’ambiente. Il piombo è altamente tossico: blocca l’attività di alcuni enzimi interferendo sui processi biochimici vitali; gli organi umani particolarmente sensibili risultano il fegato, il sistema nervoso e l’apparato riproduttivo. Le materie plastiche che contengono la batteria, per quanto resistenti, possono rovinarsi e rompersi.
Dopo l’abbandono, la batteria può subire urti, trascinamenti e schiacciamenti che conducono alla fuoriuscita dei componenti tossici e nocivi, tra i quali l’acido solforico, composto fortemente corrosivo che danneggia qualsiasi materiale col quale entra in contatto. Esso provoca ustioni anche gravi al contatto con la pelle, è pericoloso per ingestione e per inalazione, corrode i tessuti ed altri materiali di abbigliamento e protezione ed è in grado di acidificare grandi bacini o fonti idriche sotterranee o superficiali, danneggiando irreparabilmente flora e fauna e nuocendo, altrettanto irreparabilmente, alle risorse di acqua potabile od irrigua, intaccando le loro caratteristiche di neutralità chimica e di purezza biologica.
La plastica è un materiale resistente e non biodegradabile, il quale, pur non esercitando di per sé un pericolo diretto per la salute, poiché chimicamente inerte, è però una fonte di inquinamento visivo: il forte impatto estetico negativo che consegue all’abbandono di rifiuti plastici deturpa il paesaggio. Inoltre, tutti i rifiuti, compresi i contenitori o i sacchetti di plastica, sono in grado di esercitare azioni negative di tipo fisico, come l’ostruzione di condotte, canali ed altro, o di tipo biologico, come il noto fenomeno del soffocamento da ingestione in grandi animali marini.
Gli impianti di riciclaggio
Oltre a possedere, attraverso il Cobat, uno dei migliori modelli di gestione integrata di rifiuti, l’Italia vanta anche una tecnologia per il riciclaggio delle batterie esauste tra le più aggiornate al mondo. Sono sei gli impianti consorziati del Cobat in Italia che effettuano il riciclaggio delle batterie per una capacità installata di 442.000 ton/anno, addirittura superiore rispetto ai volumi provenienti dalla raccolta. Tali impianti sono situati in Lombardia, in Campania, in Calabria e in Sicilia (Eco-Bat – Paderno Dugnano – MI; Eco-Bat – Marcianise – CE; Piomboleghe – Brugherio – MI; Piombifera Bresciana – Maclodio – BS; Me.Ca.-Lamezia Terme – CZ; E.S.I.- Pace del Mela – ME).
Il processo di recupero: frantumazione delle batterie
Gli impianti consorziati utilizzano un processo (vedi grafico di figura 1) che prevede, anzitutto, la fase di frantumazione delle batterie. Dall’area di stoccaggio le batterie sono caricate in una tramoggia e, tramite nastri trasportatori, sono inviate alla sezione frantumazione composta da mulini a martelli.
Il prodotto frantumato con pezzatura calibrata è trasferito ad un sistema vagliante a umido dove avviene la separazione accurata della parte metallica fine ossidata dal mix di griglie metalliche e materie plastiche. La parte metallica fine (detta “pastello”) viene trasferita ad un filtro pressa.
Il mix di griglie metalliche e materie plastiche viene avviato, mediante nastri, al separatore idrodinamico in controcorrente che, sfruttando la differenza di densità dei vari componenti frantumati, separa le componenti plastiche da quelle metalliche. In questa fase viene anche liberata la parte liquida della batteria (soluzione acquosa di acido solforico) che è inviata all’impianto di neutralizzazione. In questo impianto avviene l’attacco dell’acido con calce idrata e con agenti flocculanti che consentono la decantazione dei solidi disciolti ed il raggiungimento della neutralizzazione del liquido ai valori fissati dalla normativa sugli effluenti.
Fusione
La fusione del pastello avviene alla temperatura di circa 800 – 1.000° C in forni rotativi a fiamma diretta alimentati a metano e ossigeno. Impianti di captazione e abbattimento delle polveri a valle con filtri a maniche consentono un controllo in continuo delle emissioni in atmosfera, nel rispetto dei criteri imposti per legge. Nei forni avviene la riduzione del materiale da solfato e ossido di piombo a piombo metallo attraverso l’aggiunta di appositi reagenti tra cui il ferro. Tale “piombo d’opera” viene successivamente inviato alla raffinazione – alligazione per ottenere piombo raffinato o leghe per vari utilizzi.
Raffinazione del prodotto
Il piombo d’opera, in blocchi o allo stato liquido, proveniente dalla fonderia, viene immesso in caldaie, dove subisce trattamenti diversi a seconda del prodotto finale che si vuole ottenere. A solo titolo di esempio, per ottenere piombo raffinato al 99,97%, si può procedere ad una decuprazione (eliminazione del rame), quindi ad una destagnazione (eliminazione dello stagno) e ad una successiva depurazione dell’antimonio.
Per la produzione di leghe di piombo si procede con 1’aggiunta dei metalli alliganti necessari. Il processo di raffinazione avviene a temperature oscillanti tra i 350 ed i 500° C.
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