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società che basa la propria attività sull’open source sicuramente è
in grado di offrire una valida alternativa ai tradizionali sistemi ‘pro-
prietari’, sia per realizzare infrastrutture ICT, sia per implementare
applicazioni di business.
Italo Vignoli
, presidente onorario di LibreItalia
( www.libreitalia.it ):
Il software open source non è sinonimo di libero scambio ma di
condivisione della conoscenza, e non è affatto vero che non deve
portare a un guadagno economico. Il software open source, infatti,
utilizza un modello di business diverso, in cui non viene pagata la
licenza del software ma viene pagato il valore aggiunto legato al
software stesso. In questo senso, il software open source consente
di ottenere margini molto più alti del software proprietario, in
quanto non c’è nessun acquisto e rivendita di prodotti - con mar-
gini chemolto spesso sono inferiori al 10% - ma solo l’erogazione di
servizi, il cui margine rimane interamente all’azienda. Certo, intorno
a questomeccanismo, molto semplice, c’è una disinformazione dif-
fusa, creata dalle aziende del software proprietario
per cercare di nascondere la realtà di un modello di
business ormai obsoleto, basato sulla presenza di li-
cenze vessatorie e di un impianto legale che non ha
nulla a che vedere con il valore del software.
Danilo Maggi
, marketing manager di Red Hat Italy
( www.redhat.com ): Il movimento del software libero
(Free Software dove Free significa Freedom ovvero
libertà in italiano e non gratuito) ha avuto inizio con
Richard M. Stallman e GNU nel 1984. Il software li-
bero è definito dalle 4 libertà fondamentali che
esso fornisce: la libertà di eseguire il programma, la
libertà di studiare come funziona il programma e di
adattarlo alle proprie necessità, la libertà di ridistri-
buirne le copie in modo da aiutare il prossimo e in-
fine la libertà di migliorare il programma e distribuirne al pubblico
i miglioramenti. Il software libero non dovrebbe essere scambiato
con il freeware perché nel caso del freeware ‘free’ significa gratuito,
senza garantire le libertà precedenti. Il movimento open source,
supportato da persone e aziende che conoscono i benefici tecnici
ed economici del codice a sorgente aperto (open source, per l’ap-
punto) e del suo sviluppo aperto al contributo di tutti, consente a
molte persone di vedere il codice e correggerlo. In questo modo i
programmi si sviluppano più velocemente: tanto è vero che l’in-
novazione spesso nasce dalle comunità open source (OpenStack
tanto per citarne uno...). Per quanto riguarda il costo, con il mo-
dello di sottoscrizione Red Hat, si paga per il valore effettivamente
ricevuto (ovvero il servizio e non la licenza software) e ogni anno
è possibile scegliere di rimanere con Red Hat oppure passare a un
altro fornitore. Per mantenere efficiente un’infrastruttura che sia
in grado di soddisfare le esigenze aziendali in costante crescita è
necessario un contratto di manutenzione e supporto, serve una
piattaforma aziendale comprovata, scalabile, affidabile e sicura,
nonché un rapporto di autentica collaborazione con il fornitore
della tecnologia. Ed è proprio quello che la sottoscrizione a Red
Hat offre.
A.O.:
In genere si pensa ai prodotti open Source come poco user-
friendly o con limitazioni nell’uso al pari di un prodotto commerciale
analogo, limitandone l’utilizzo solo ai più esperti; l’evoluzione tecno-
logica e di conoscenze ha cambiato o sta ampliando il tipo e quindi il
numero di utilizzatori?
Andrea Ceiner:
Noi registriamo come principale
vantaggio della comunità open source la quantità
di innovazione che questa produce. Gli aspetti di
vestizione del prodotto finale spettano poi alle in-
dustrie e alle aziende che colgono questi progetti
innovativi. Non è compito della comunità open
source curare il design e il marketing del prodotto fi-
nale. Il loro compito, ripeto, è produrre innovazione.
Cristian Randieri:
Negli ultimi anni a livello inter-
nazionale le limitazioni d’uso di un prodotto open
source rispetto a un prodotto commerciale stanno
diminuendo sempre più e in alcuni casi addirittura
l’open source riesce a fare molto di più, si pensi ad
esempio alla piattaforma Apache-MySql che di fatto
oggi copre il 70% del mercato. Non dimentichiamo
che la soluzione open source è scelta anche da grandi colossi come
ad esempio la tecnologia Java, supportata da IBM, Sun, Oracle,
offrendo un esteso patrimonio di framework, librerie e soluzioni.
Purtroppo lo scenario nel nostro Paese cambia di molto. Secondo
un’indagine Istat in Italia solo il 12,2% imprese adotta tecnologie
open source; di cui il 38,7% è rappresentato delle aziende aventi
oltre 250 addetti. Quindi assistiamo all’apparente paradosso che
il software libero è poco presente proprio nelle piccole-medie im-
prese che avrebbero i massimi benefici dalla sua introduzione, in
primis di carattere economico. Purtroppo alla base di tutto c’è un
problema di conoscenza e formazione. Molte di queste piccole re-
altà non hanno al loro interno competenze informatiche adeguate
APRILE 2015
AUTOMAZIONE OGGI 380
97
Cristian Randieri,
president & CEO
di Intellisytem
Fonte: www.freeimages.com