Automazione industriale: 40 anni di trasformazioni
Ha celebrato da poco i 40 anni di attività professionale nell’automazione. Un percorso che lo ha visto protagonista come progettista e manager in aziende del calibro di Olivetti e Rockwell Automation, presidente Anipla, ideatore del progetto ‘Automation Story’, consulente industriale, presidente e membro di una ventina di comitati scientifici. Un professionista che ha saputo mettere in relazione le diverse anime del mondo dell’automazione: industriale, accademica, fieristica, editoriale e associativa.
Parliamo di Carlo Marchisio che ci ha offerto spunti e riflessioni di grande spessore.
D.: Dall’automazione a relè degli anni ’70 alla ‘Industry 4.0’. Dal punto di vista tecnologico e della trasformazione del tessuto industriale italiano, quali sono stati i passaggi chiave in questi 40 anni di automazione?
Marchisio: Negli anni ‘70 del ventesimo secolo l’automazione era basata sul relè, un dispositivo elettrico comandato dalle variazioni di corrente per influenzare le condizioni di un altro circuito. I quadri elettrici erano molto voluminosi e i relè che sviluppavano la logica di automazione di macchina impegnavano almeno un intero pannello del quadro elettrico. Purtroppo la funzionalità dell’impianto non era ottimale e si verificavano numerosi guasti che richiedevano frequenti interventi dei tecnici di manutenzione. In seguito, l’elettronica e il software innovarono radicalmente l’automazione con l’arrivo dei PLC. Se confrontati con i grandi armadi elettrici degli anni ’70 e ’80, i PLC hanno aperto le porte a una nuova era. Finisce l’epoca dei sistemi elettronici dedicati mentre si iniziano a progettare soluzioni elettroniche riconfigurabili. Con l’uso dei microprocessori, si è potuto aumentare il numero delle funzioni logiche ottenibili, riducendo lo spazio utilizzato e incrementando lo sviluppo di logiche di controllo sempre più avanzate. Un importante innovazione che ha permesso di ottenere sistemi PLC con maggiori prestazioni e funzioni di controllo ad alto livello. Negli ultimi anni abbiamo avuto lo sviluppo dei Personal Computer con il loro impiego sempre più massiccio all’interno dei sistemi di automazione di fabbrica. L’incontro tra l’automazione basata sul PLC e l’Information Technology ha determinato un’ulteriore evoluzione nelle attività di progettazione, realizzazione, applicazione, installazione e testing di software per l’automazione industriale. In sostanza dalla fine degli anni ’90 la programmazione dei sistemi PLC e Scada cambia radicalmente lo scenario tecnologico.
Dagli anni 2000 a oggi il software di automazione industriale occupa un ruolo strategico, ponendosi in primo piano nei processi di automazione delle macchine e degli impianti di fabbrica. L’automazione in questi 40 anni ha compiuto passi da gigante, diventando una tecnologia strategica con prodotti affidabili e sicuri, per tutto il mondo industriale a livello internazionale. Sicuramente la nuova era dell’Industry 4.0 offrirà ulteriori opportunità di sviluppo.
D.: Oggi ci sono diverse decine di aziende italiane, alcune eccellenti, costruttrici di componenti e tecnologie di automazione. Ma non ci sono grandi produttori, big player in grado di competere con i colossi tedeschi, giapponesi e americani. Eppure non è sempre stato così. Fino ad alcuni decenni fa c’erano realtà come Orsi, Gavazzi, Ansaldo, Nuovo Pignone e altre che giocavano un ruolo importante. Certo abbiamo end user e costruttori di macchine di rilevanza internazionale, ma il pallino strategico non è in mano nostra. Come si spiega?
Marchisio: Fornire una spiegazione corretta e completa non è sicuramente facile. Penso che aziende come Orsi, BMB, Ansaldo e altre non sono riuscite a compiere il salto industriale che era necessario per trasformarsi da PMI a grande gruppo, come è accaduto invece per i big player tedeschi, giapponesi e americani. In Italia sicuramente c’era la tecnologia ma forse è mancata la molla per una robusta crescita industriale (promuovendo ad esempio delle unioni tra società) e diventare grandi player.
Ricordo che nel Triveneto (soprattutto nella zona di Vicenza) erano presenti aziende specializzate nell’elettronica di potenza e nella regolazione di velocità. Queste hanno dato vita a numerose realtà di ottimo livello tecnologico, ma di piccole dimensioni e dunque non totalmente in grado di reggere la sfida con le multinazionali.
D.: Come giudica l’attuale offerta formativa (università, scuole professionali, centri di ricerca ecc.) nel campo dell’automazione? Cosa servirebbe per rinnovare e non disperdere il patrimonio di conoscenze e cultura industriali fondamentali per la nostra manifattura?
Marchisio: Le università italiane in ambito automazione, meccatronica e informatica sono abbastanza valide. I laureati in queste aree didattiche trovano facilmente occupazione. Forse queste facoltà dovrebbero avvicinarsi al mondo industriale in modo più operativo, per ricevere input su dove e come sviluppare le attività tecnologiche e di ricerca. Devo poi segnalare che in molti istituti tecnici professionali c’è un’attività di crescita interessante, che mira a fornire al diplomato una formazione tecnologica adeguata alle reali necessità del mercato del lavoro. Molte aziende fornitrici di automazione collaborano con le università italiane e questo è un fatto molto positivo: questa attività dovrebbe essere ulteriormente incrementata e programmata.
Purtroppo in Italia la ricerca tecnologica non è molto sviluppata. Sarebbe il caso di sostenerla soprattutto nell’automazione, perché è un settore chiave per il rilancio e la trasformazione delle aziende produttive. La qualità del prodotto, l’efficienza produttiva e la posizione internazionale dell’industria saranno sempre più legate allo sviluppo dell’Automazione e dell’Information Technology. Anche per questo è necessario ampliare la cultura dell’automazione a 360 gradi, sviluppando contatti con tutti i player del settore.
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