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Automazione e Strumentazione

Novembre/Dicembre 2014

EDITORIALE

primo piano

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Luca Lietti

Docente di Chimica Industriale e

Tecnologica

Dipartimento di Energia del Poli-

tecnico di Milano

sull’impatto delle emissioni di CO

2

di natura antropica

sulle variazioni climatiche e sull’effetto serra è oggi quanto mai acceso. Non voglio

addentrarmi nel complicatissimo tema, che lascio agli esperti del settore. Certo è

che il tema della riduzione delle emissioni di CO

2

in atmosfera costituisce oggi una

importante driving force a livello normativo, oltre che economico.

Un’importante riduzione delle emissioni di CO

2

può essere ottenuta attraverso il

miglioramento dell’efficienza dei processi di combustione e, più in generale, di tutte

le attività che comportano emissioni di tale gas. In aggiunta a ciò, in questi ultimi

anni sono anche state sviluppate tecnologie specifiche volte alla rimozione della

CO

2

dai reflui gassosi, e successivo confinamento in siti considerati “sicuri” (ad

es. pozzi gas esauriti, miniere, fondali oceanici). Queste tecnologie (denominate

CCS, Carbon Capture and Storage), non sempre incontrano i favori dei tecnici e

della classe politica (chi garantisce la sicurezza del sito di stoccaggio?), anche per

gli alti costi associati. In ogni caso, è proprio di questi giorni la notizia* che il 2

ottobre scorso è stata attivata in Canada la prima centrale termoelettrica a carbone

equipaggiata con tecnologia CCS, in grado di rimuovere 1 milione di tonnellate di

CO

2

/anno che vengono stoccate in siti geologici opportunamente selezionati.

Più intriganti sono però le tecnologie di cattura e riutilizzo della CO

2

(le cosiddette

CCU, CO

2

Capture and Utilization), che non nascondono il problema sotto il

tappeto ma cercano piuttosto di dare vita nuova alla CO

2

. Numerose sono le

possibili sintesi di chemicals a partire dalla CO

2

(urea, carbonati, acidi carbossilici,

ecc.), come ben descritto in una recente review**. Tra queste, vorrei citare la

produzione di combustibili (gassosi e liquidi) e/o di chemicals (es. olefine)

attraverso processi di idrogenazione catalitica. Tali vie richiedono però un elevato

rapporto H

2

/CO

2

, e dunque risultano fattibili se accoppiate ad una produzione

di idrogeno a basso costo. Ciò può verificarsi in casi di surplus di produzione di

energia elettrica (ad esempio fotovoltaico in aree remote, eolico, ecc.), che può

essere poi utilizzata per generare H

2

per elettrolisi dell’acqua. È quanto è allo

studio ad esempio oggi in Germania, dove si vogliono produrre combustibili per

realizzare lo stoccaggio “chimico” dell’energia elettrica, assorbendone i picchi di

produzione. La reazione presenta ovvie difficoltà a causa della refrattarietà della

CO

2

ad essere idrogenata, dell’elevata esotermicità e della notevole quantità di

acqua co-prodotta. Cuore del processo è il catalizzatore, che è chiamato al difficile

compito di convertire la CO

2

con buone rese e selettività. Non meno ardui sono

gli scenari per chi opera nel settore dell’automazione e controllo di processo: le

tecnologie allo studio operano tipicamente in regime transitorio, con le derivanti

complessità sia di tipo teorico/modellistico che operativo. La sfida è aperta: il

cammino è ancora lungo ma oltremodo stimolante.

Il dibattito

Quale futuro per la CO

2

?

*

http://www.rsc.org/chemistryworld/2014/10/world-first-carbon-capture-coal-plant-canada-opens

** Michele Aresta, Angela Dibenedetto, Antonella Angelini, Chem. Rev. 2014, 114, 1709−1742