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Automazione e Strumentazione
Aprile 2014
EDITORIALE
primo piano
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Alberto Servida
Università degli studi di Genova
Presidente AniplaNazionale
l’ultimo rapporto di Almalaurea
sull’occupazione dei giovani laureati fotografa una situazione abbastanza
sconfortante. I dati mostrano un peggioramento della situazione occupazionale
dei giovani neolaureati. Prendendo in esame solo i laureati magistrali, a un
anno dalla laurea, i disoccupati sono il 23% dato in crescita rispetto al valore
dell’anno precedente (21,5%).
La situazionemigliora se si considera un orizzonte temporale di cinque anni
dalla laurea (magistrale): solo l’8% dei laureati non lavora. Il rapporto evidenzia
che, nonostante tutto, la laurea conviene. Infatti, i laureati non solo presentano
un tasso di occupazione superiore di 13 punti percentuali rispetto ai diplomati,
ma sono avvantaggiati anche sul versante della retribuzione.
Il XVI RapportoAlmalaurea evidenzia come i nodi strutturali, che hanno
contribuito alla bassa crescita degli ultimi 15 anni, possano spiegare
l’inadeguatezza del sistema Paese a valorizzare il capitale umano. L’Italia ha
registrato una contrazione della quota di occupati tra i laureati con un’alta
specializzazione in controtendenza rispetto ai più importanti Paesi dellaUE.
RegnoUnito, Germania, Francia e la stessa Spagna, per uscire dalla crisi,
hanno investito di più, rispetto all’Italia, sulle professioni qualificate. In questi
Paesi, nonostante la contrazione dell’occupazione, la domanda di occupati ad
alta scolarizzazione è aumentata.
Quindi, la difficoltà di inserimento nel mondo del lavoro dei giovani laureati
non dipende solo da fattori quali il momento congiunturale o l’inadeguatezza
delle competenze possedute rispetto alle richieste del mercato del lavoro, ma è
anche legata alla struttura del sistema imprenditoriale italiano. Infatti, una parte
consistente del nostro sistema produttivo è costituito da PMI, e spesso il piccolo
(e anche il medio) imprenditore non comprende fino in fondo il valore aggiunto
che trarrebbe dall’inserimento di figure professionali altamente qualificate. È,
forse, la paura di perdere il pieno controllo della gestione “tecnologica” della
propria azienda? Solo chi ha investito nella formazione e in innovazione è
riuscito amantenere (inmolti casi guadagnare) posizioni di mercato attraverso
un processo di innovazione che ne hamigliorato la competitività favorendone,
quindi, anche l’esportazione sui mercati esteri. Questo lo hanno capito quelle
PMI che pur partecipando (in termini di fatturato) ameno del 25% del PIL
nazionale complessivamente contribuiscono a una esportazione che vale circa
l’80% del prodotto potenziale italiano.
Nelle economie avanzate, la valorizzazione delle conoscenze rappresenta
un fattore strategico sia per la crescita economica sia per la competitività del
sistema Paese.
Ancora una volta,
Puntare sulla formazione
per migliorare la produttività
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