AO
APRILE 2017
AUTOMAZIONE OGGI 397
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AVVOCATO
Risponde alla nostra rubrica l’Avv. Cristiano Cominotto di Milano specializzato nelle problematiche legali in campo elettronico, infor-
matico e dei sistemi di produzione. Chiunque desiderasse proporre o approfondire argomenti legali su queste pagine può telefonare
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Cristiano Cominotto, Antonio Sutera
n diritto del lavoro il licenziamento discipli-
nare è quel particolare tipo di recesso che
ricomprende in parte sia la disciplina del
licenziamento per giusta causa (art.2119
codice civile), sia quella del licenziamento
per giustificato motivo soggettivo (art.3,
legge 604/1966). Da un lato, infatti, si ha
giusta causa per intimare il licenziamento
quando si rovina in modo irrimediabile il
rapporto fiduciario che si instaura fra da-
tore di lavoro e dipendente e in misura tale
da rendere impossibile la prosecuzione
del rapporto di lavoro stesso. Per recessi di
questo tipo sono tuttavia richieste ragioni
molto gravi, tali da giustificare l’interru-
zione. Interruzione che può anche essere
intimata senza alcun preavviso. Si ha, in-
vece, giustificato motivo soggettivo nel
recesso quando al lavoratore sono impu-
tabili dei comportamenti, in genere infra-
zioni del codice disciplinare aziendale, che
in ogni caso ledono o possono erodere nel
tempo la fiducia instauratasi con il datore
di lavoro. In questi casi si deve guardare
al modo in cui determinati comporta-
menti, ritenuti meritevoli di essere sanzio-
nati, siano reiterati nel tempo. Da questo
punto di vista, dunque, il licenziamento
disciplinare si basa proprio sul fatto che il
lavoratore commetta determinati compor-
tamenti in violazione di obblighi predispo-
sti dalla legge stessa, dai contratti collettivi
I
Misure estreme:
quando?
di categoria e anche, eventualmente e se disponibile, dal codice disciplinare dell’impresa
e la cui gravità, per giusta causa o giustificato motivo soggettivo, sia tale da giustificare
l’interruzione del rapporto. È necessario, tuttavia, nel momento in cui si ravvisino compor-
tamenti scorretti del proprio dipendente sul posto di lavoro, prestare molta attenzione
prima di procedere con l’adozione di misure estreme quali il licenziamento. In questi casi
vige sempre l’applicazione del cosiddetto ‘principio di proporzionalità’, secondo il quale
la sanzione effettivamente erogata deve essere commisurata al comportamento disdi-
cevole. In poche parole, è necessario, una volta verificata l’effettiva sussistenza del fatto
contestato, che questo sia così grave da determinare irrimediabilmente l’applicazione di
quella determinata sanzione e non di una misura alternativa ed eventualmente più lieve.
È un principio molto importante da seguire, poiché, in caso di mancato rispetto, il lavora-
tore avrà il diritto di agire in giudizio nei confronti del datore che ha erogato la sanzione in
maniera illegittima, potendo contestare sia la veridicità del fatto imputatogli, sia la gravità
della misura inflitta. Bisogna inoltre fare molta attenzione all’applicazione del principio
di proporzionalità in misura di sanzioni anche nel caso in cui queste siano effettivamente
previste dai contratti collettivi per quel particolare tipo di comportamento disdicevole.
Pur applicando la disciplina prevista dalla contrattazione collettiva, difatti, si potrebbe
finire con l’essere nel torto. È quanto affermato dalla sentenza della Sezione Lavoro della
Cassazione, n.10337 del 2012, nella quale si afferma che, in caso di contestazione della
sanzione in sede di giudizio, è il giudice stesso l’arbitro ultimo nella valutazione di quali
siano le fattispecie disciplinari e sull’effettiva proporzionalità della sanzione erogata. I
contratti collettivi, come si legge nella sentenza, che prevedono ipotesi di giusta causa
per la commisurazione di sanzioni disciplinari, non vincolano il giudice. Tali previsioni
hanno natura esemplificativa e non tassativa. Recentemente la Corte di Cassazione si è
espressa in merito all’applicazione del principio di proporzionalità nel caso di sanzioni
previste dai contratti collettivi. La questione riguardava, in particolare, l’utilizzo improprio
del PC aziendale. Il lavoratore, infatti, era stato licenziato proprio poiché durante le ore
lavorative faceva abbondante uso del PC aziendale e della casella di posta elettronica per
scopi personali. All’interno del suo PC erano stati inoltre ritrovati alcuni software che non
facevano parte della dotazione standard prevista dall’azienda. L’azienda aveva optato per
il licenziamento disciplinare del proprio dipendente, ritenendo che tali comportamenti
violassero in maniera assoluta il rapporto di fiducia instauratosi e che fossero in chiara
violazione dello stesso codice disciplinare aziendale. Il caso si presentava sin da subito
molto complesso, tanto che, esauriti i gradi di merito, la stessa Corte di Cassazione è stata
investita della questione. La Suprema Corte, con sentenza n.6222 del 2014, ha ritenuto
che il datore di lavoro non possa erogare la sanzione del licenziamento al proprio dipen-
dente nel caso in cui questo utilizzi il PC aziendale per scopi personali, anche se impropri
come nel caso di specie, poiché nel contratto collettivo erano previste sanzioni meno
gravi per inadempimenti di questo tipo. L’azienda aveva quindi ‘esagerato’ a licenziare il
dipendente, il quale aveva sì sbagliato, ma doveva essere punito in maniera diversa e, in
ogni caso, in modo meno grave, secondo quanto previsto dal contratto collettivo.