GENNAIO-FEBBRAIO 2015
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OTTOBRE 2015
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svanito, anche perché il mercato è cambiato. Tra l’altro, ci si è resi conto che per
dendo la capacità produttiva si sono progressivamente perse anche molte altre
competenze, tra le quali la capacità progettuale di prodotto e di processo. Oggi, il
manifatturiero pesa per il 17% del PIL mondiale e i Paesi emergenti sono artefici del
40% della produzione totale, quando solo vent’anni fa rappresentavano più o meno
il 21%. In questi anni, sia l’Europa sia l’America sia il Giappone hanno perso una
significativa quota della loro capacità produttiva, in particolare in USA era al 24%
e ora è al 22%; in Europa era al 36% mentre oggi è al 25%; in Giappone era al 18%
invece adesso è all’11%. Per questo, una delle priorità europee è di riportare il con
tributo del manufacturing al 20% del PIL (oggi è al 15%) entro il 2020. L’Italia, come
quasi tutti i Paesi europei, ha visto una significativa contrazione del contributo del
manifatturiero al PIL, passando in pochi anni, dal 20% al 16%. Uniche eccezioni
la Germania, che dal 22% è passata al 23%, e la Polonia, passata dal 16% al 18%.
Come detto, il rilancio del manufacturing in Europa e in America non può avvenire
semplicemente ritornando ad aprire le fabbriche, bensì occorre ripensare i pro
cessi produttivi e creare nuovi modelli di business. Comunque si voglia chiamare la
nuova evoluzione industriale, ‘Industrie 4.0’ alla tedesca o ‘Connected Enterprise’
all’americana, il concetto sotteso è quello di ‘Mass Customisation’. A questo pro
posito mi preme sottolineare come l’attenzione alla ‘personalizzazione di massa’
possa consentire all’industria italiana di riscoprire la sua vocazione ‘artigianale’, non
più subendola a favore di un approccio ‘industriale’ tipico dei fornitori anglosas
soni, tedeschi in testa, ma ‘agendola’, come fattore di competitività, attualissimo
sui mercati internazionali. La Germania è forte in termini di agenti abilitanti, ovvero
di componenti e di tecnologie che, utilizzati nei siti produttivi, possono permettere
di realizzare fabbriche totalmente interconnesse.
Nel caso dell’Italia, dobbiamo valorizzare la nostra capacità di trasformazione, la
nostra forza creativa e applicativa. È importante saper cogliere l’opportunità che ci
viene offerta dall’avvento della digitalizzazione a tutti i livelli, dall’interconnessione
fra macchine, dall’Internet of Things e dall’Internet of Services. Si apre una nuova
era industriale in cui la distanza tra le fabbriche e i consumatori si andrà sempre
più riducendo. Un’opportunità che, però, racchiude anche dei rischi, primo fra tutti
quello di stare a guardare invece di investire.
esidero partire da un assunto ampia
mente comprovato: più manifatturiero
equivale a maggiore crescita. Nel 1991
il 60% della produzione mondiale era
in mano a sei nazioni: USA, Giappone,
Germania, Italia, Francia e Regno Unito,
oggi lo scenario è molto cambiato. No
nostante tutto, l’Italia è ancora fra le
prime otto nazioni in termini di produ
zione industriale, a dimostrazione che
la vocazione e le competenze conti
nuano a esserci.
In questi anni, il trend di deindustrializ
zazione ha comportato una riduzione
del numero di lavoratori del 20% in
Francia, del 29% in UK e in Italia del
23%; viceversa in Cina sono aumen
tati del 39% e in Brasile del 23%. Da
poco, Europa e America si sono ac
corte che la delocalizzazione della
produzione, avvenuta pesantemente
negli ultimi vent’anni, ha indebolito le
rispettive economie. Per questo si sta
tornando sui propri passi, ma il reshor
ing in quanto tale non basta, bisogna
introdurre più tecnologia e rendere i
processi più moderni. Il mito della pro
duzione di massa a basso costo è ormai
D
Arriva la ‘Mass
Customisation’.
Ed è ora di investire
AO
IL PUNTO
Roberto Maietti
Comitato tecnico di Automazione Oggi e Fieldbus & Networks
@RobertoMaietti