Più classici o più Stem per i futuri tecnici dell’Industria 4.0?
Inizia un nuovo anno scolastico e si ripropongono le aspettative di sempre, accanto a nuovi problemi e nuovi desideri. Per gli studenti c’è il desiderio, per lo più inconfessato, di incontrare insegnanti che possano affascinarli proponendo percorsi personali e discipline delle quali sia chiaro il motivo di interesse. Per gli insegnanti, superate le questioni organizzative, burocratiche (ed economiche), c’è l’auspicio che insegnare non si traduca nella stanca ripetizione di nozioni ma diventi l’esperienza viva di aiutare a crescere delle persone comunicando delle conoscenze. Per i genitori l’aspettativa è duplice: che la scuola formi la personalità e la cultura dei ragazzi e insieme li metta in grado di affrontare il mondo del lavoro in trasformazione.
A questo proposito, è evidente che il nuovo scenario tecnologico, dominato dall’avanzata della digitalizzazione e dell’automazione, incida profondamente sull’orizzonte culturale nel quale si colloca la scuola e soprattutto sul problema della rapporto tra scuola e lavoro. Alcune certezze che sembravano consolidate stanno oscillando e i tradizionali percorsi formativi non reggono; si impone l’esigenza di percorsi scolastici che siano adeguati a situazioni lavorative caratterizzate da flessibilità, variabilità, mobilità, dove nascono nuove figure professionali e vengono continuamente ridefinite le mansioni, le competenze, gli skill.
Non ci sono soluzioni facili e scontate e in generale si nota un certo affanno da parte delle istituzioni scolastiche, almeno in Italia, a cogliere le nuove tendenze e a calibrare l’offerta formativa in modo soddisfacente. Considerando, in particolare, la questione della formazione dei futuri professionisti che dovranno gestire e sviluppare l’Industria 4.0, c’è anzitutto da decidere la linea di indirizzo culturale generale sulla quale costruire le appropriate figure professionali.
La tendenza prevalente è quella sostenuta dagli esperti di Hays, società attiva da dieci anni in Italia nel recruitment di profili di top e middle management, ed espressa in un recente numero dell’Hays Journal: gli esperti evidenziano la necessità di promuovere, fin dai primissimi anni di scuola, lo studio delle materie condensate nell’acronimo inglese Stem, ovvero Science, Technology, Engineering e Mathematics. La preparazione in queste quattro discipline potrebbe portare nel mondo del lavoro quei professionisti specializzati che gli sviluppi in atto sembrano richiedere con insistenza.
“Il progresso digitale” ha dichiarato recentemente Carlos Soave, Managing Director di Hays Italia “ha portato a una crescita esponenziale delle opportunità lavorative che richiedono competenze sempre più specialistiche che la forza lavoro globale non è in grado di soddisfare. Da qui la necessità per imprese, governi e scuole di collaborare al fine di individuare soluzioni efficaci per colmare questo gap, garantendo una crescita economica costante”.
D’altra parte c’è chi ritiene che, proprio a fronte dell’impetuoso sviluppo tecnologico in atto, sia importante radicare la formazione dei tecnici sulle solide basi fornite dalla cultura classica. Per esempio Roger Abravanel, ingegnere, per trentacinque anni in McKinsey e noto esperto di formazione e lavoro, intervistato tempo fa dalla rivista Emmeciquadro su questi temi, osservava: “Ciò che è importante per il mondo del lavoro è l’aver imparato a ragionare con la propria testa e questo si può fare sia con la matematica, sia con una traduzione dal greco/latino, sia con un dibattito su un tema di storia. Non è importante cosa si impara, ma come si impara e che persona si diventa grazie a ciò che si impara”.
Forse tuttavia, le due prospettive non sono così incompatibili e il messaggio per tutti coloro che si apprestano a varcare i cancelli delle nostre scuole è di trattenere il buono contenuto in entrambe.
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