Il lavoro nel futuro: studiare digital e STEM
Per il 37% degli italiani il proprio lavoro sarà automatizzato in 5-10 anni: se tornassero diciottenni, 3 su 4 studierebbero digitale e STEM
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I lavoratori italiani sono i più convinti fra i colleghi dei vari paesi europei che la propria mansione sarà automatizzata nei prossimi 5 o 10 anni (37%, +3% rispetto alla media globale). Circa la metà ritiene che già adesso le imprese fatichino a trovare candidati con competenze adeguate (52%) e che il proprio datore di lavoro abbia una crescente necessità di profili matematico-scientifico-tecnologici (48%, in linea con la media mondiale).
Per restare competitivi sul mercato del lavoro, dunque, assumono un’importanza fondamentale le competenze digitali e la conoscenza delle materie STEM (Science, Technology, Engineering e Mathematics). Il 71% dei dipendenti, infatti, consiglierebbe agli studenti di puntare su una facoltà ingegneristica, matematica, scientifica o tecnologica, un suggerimento che in Europa è più frequente soltanto in Polonia (73%), Ungheria (73%), Spagna (78%), Portogallo (83%) e Romania (84%). Non solo, gli stessi lavoratori in quasi tre casi su quattro, se avessero ancora 18 anni, sceglierebbero una carriera in ambito digitale (75% contro il 72% della media globale) o STEM (72%, +6% sulla media generale).
L’ultima edizione del Randstad Workmonitor, l’indagine trimestrale sul mondo del lavoro di Randstad, condotta in 34 Paesi del mondo su un campione di 405 lavoratori di età compresa fra 18 e 67 anni per ogni nazione, che lavorano almeno 24 ore alla settimana e percepiscono un compenso economico per questa attività, rivela una diffusa consapevolezza dell’importanza delle competenze digitali e tecnico-scientifiche per essere preparati ai cambiamenti che le nuove tecnologie porteranno nel mondo del lavoro.
“La trasformazione digitale sta modificando radicalmente molti settori economici, le esigenze delle imprese e le competenze richieste ai lavoratori” afferma Marco Ceresa, amministratore delegato Randstad Italia. “Le imprese in futuro avranno sempre più bisogno di competenze digitali e STEM per gestire il cambiamento, ma spesso faticano a trovare candidati con un profilo adeguato. Il fatto che tre lavoratori su quattro sarebbero disposti a modificare il proprio percorso di carriera per venire incontro alle esigenze di un mercato è, da un lato, un positivo segnale di consapevolezza e adattamento, dall’altro però, evidenzia un divario ancora ampio con i paesi più avanzati in termini di diffusione di queste competenze. Per colmare il gap, studenti e lavoratori devono attrezzarsi sviluppando e aggiornando le proprie competenze, ma anche le imprese devono fare la loro parte, aumentando gli investimenti in formazione”.
I risultati della ricerca
Oltre un italiano su tre crede che la propria mansione verrà completamente automatizzata nei prossimi cinque o dieci anni, un risultato superiore a qualsiasi altro paese europeo e tre punti sopra la media globale. I segmenti più pessimisti sono le donne (39%) e i dipendenti sotto i 45 anni (38%), mentre questa convinzione è meno diffusa fra uomini (35%) e lavoratori senior (36%). Nonostante questa percezione, il 69% degli italiani, senza distinzioni di genere ed età, non è spaventato dall’impatto dell’automazione e si sente in possesso di tutti gli strumenti necessari a gestire la digitalizzazione del lavoro. Un livello di fiducia che però è ben nove punti sotto la media globale (78%) e che in Europa è inferiore soltanto a Olanda (65%) e Ungheria (57%).
Fra i dipendenti è largamente diffusa la sensazione che le imprese non investano a sufficienza per sviluppare le competenze digitali del personale: lo pensa il 67% del campione (-1% sulla media globale) e soltanto in Spagna (71%), Grecia (73%), Polonia (73%), Portogallo (78%) e Romania (79%) questa percezione è più frequente. I lavoratori di genere maschile (73%, contro il 61% delle donne) e i più giovani (68%, contro il 66% degli over 45) sono i segmenti più convinti della necessità di aumentare gli investimenti in formazione.
Oltre metà del campione ritiene che già adesso le imprese stiano faticando a trovare profili con le giuste competenze e che in futuro sarà sempre più difficile. Se per quanto riguarda la futura carenza di competenze non ci sono differenze significative di età e genere, queste aumentano se si analizzano le difficoltà attuali, con donne (54%, contro il 49% degli uomini) e giovani (56%, contro il 47% dei senior) più pessimisti. In particolare, quasi un lavoratore su due (48%) segnala una crescente richiesta da parte del proprio datore di lavoro di profili con competenze STEM (48%), un risultato in linea con la media europea e inferiore in Europa soltanto a Spagna (49%), Portogallo (60%) e Romania (65%). Sono soprattutto gli uomini (54%, +11% rispetto alle donne) e i dipendenti più anziani (52%, +7% rispetto ai giovani) a notare questa tendenza e a suggerire agli studenti di dedicarsi a una carriera STEM (74% uomini vs 69% donne e 75% senior contro 68% giovani).
I lavoratori sarebbero anche disposti a cambiare il proprio percorso di studi se avessero la possibilità di tornare indietro all’anno della maturità. Se avesse ancora 18 anni, il 72% del campione sceglierebbe una facoltà STEM, soprattutto gli uomini (75%, +5% rispetto alle donne) e gli over 45 (76%, +7% rispetto ai giovani). Un valore sei punti superiore alla media globale e che in Europa è inferiore soltanto a quello registrato in Spagna (75%), Portogallo (79%), Romania (81%). Il 75%, invece, si concentrerebbe su un percorso di studi in ambito digitale (+3% sulla media globale), con un divario di cinque punti fra senior (78%) e giovani (73%) e di 11 punti fra uomini (81%) e donne (70%).
Indici trimestrali
L’indice di mobilità a livello globale è leggermente aumentato rispetto al primo trimestre, salendo da 111 a 112 punti. A livello italiano, invece, assistiamo ad un calo di 3 punti, da 105 a 102.
Il 79%dei lavoratori italiani non ha cambiato né mansione né datore di lavoro negli ultimi sei mesi, l’11% dei dipendenti ha cambiato soltanto azienda, l’8% ha cambiato ruolo all’interno della stessa società, il 3% ha cambiato sia l’impresa che la posizione ricoperta. Le principali motivazioni che inducono gli italiani a cambiare impiego sono le migliori condizioni di lavoro (32%), il desiderio di cambiamento (26%), l’ambizione di crescita professionale o manageriale (19%) e l’insoddisfazione per il datore di lavoro (19%).
Soltanto il 3% degli italiani sta attivamente cercando un altro lavoro, l’8% sta selezionando nuove opportunità, il 22% si sta guardando attorno, il 28% non si sta impegnando attivamente nella ricerca ma se capitasse un’occasione sarebbe aperto ad ogni possibilità, mentre ben il 40% dichiara di non cercare lavoro.
Quasi due italiani su tre si dichiarano soddisfatti del loro lavoro (65%),il 26% non esprime un giudizio né positivo né negativo, mentre solo il 9% è insoddisfatto. L’80% dei lavoratori aspira a una promozione, in crescita del 4% rispetto al trimestre precedente, mentre cala l’ambizione di iniziare qualcosa di diverso (58%, -2%).
Nell’ultimo trimestre, è diminuita di un punto la percentuale di italiani che hanno timore di perdere il posto di lavoro (8%) e di ben sei punti la sensazione generale d’insicurezza (coloro che non hanno molta paura di perdere il posto ma neanche poca, scesa dal 30% al 24%, con lievi differenze fra uomini e donne). Cresce, invece, il numero di dipendenti che ritiene di poter trovare un’occupazione analoga nel giro di sei mesi (57%, +3%), con punte dell’81% fra i 18-24enni e del 63% fra gli uomini (più pessimisti gli over 55, 40%, e le donne, 51%), e la fiducia di poter trovare un lavoro diverso (53%, +4%), con uomini (58%) e giovani (69%) più ottimisti e donne (49%) e senior (24%) più sfiduciati.
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