Uomini & Imprese n° 19 – novembre 2018
Il valore aggiunto della manifattura italiana
La manifattura italiana batte quella della corazzata tedesca. Nell’ultimo triennio – ossia dal 2015 al 2017 – l’industria manifatturiera del BelPaese ha macinato un trend di crescita superiore a quello fatto registrare da Germania e Francia. Il dato dello scorso anno, ad esempio, parla chiaro e vede l’Italia con un aumento del 3,8%, la Germania del 2,7%, il Regno Unito del 2,3% e la Francia del 1,7%. Se vogliamo focalizzarci sul valore aggiunto che il manifatturiero porta all’industria italiana nel suo complesso, basti pensare che nell’arco temporale 2014-2017 è aumentato cumulativamente del 10%. Ossia ben oltre due volte e mezza di più del PIL. Ecco quindi che possiamo affermare che è la manifattura il vero emblema del Made in Italy nel mondo, anche grazie al rilevante indotto e al poderoso apporto che conferisce all’export. Il surplus del manifatturiero italiano, oggi il quinto al mondo, è quasi raddoppiato in dieci anni: dai 53 miliardi di euro del 2007 ai 97 miliardi del 2017. Dopo la crisi internazionale del 2008 è la manifattura la vera spinta propulsiva che ha trainato il nostro sistema economico a una crescita media del 7,4% nel quadriennio 2014-2017. Ossia quasi raddoppiando il PIL del Paese. Ma la manifattura è una delle due facce della medaglia di un Paese, il nostro, con altri settori della propria produzione in grande ritardo. Tra questi quello pubblico. Se il PIL cresce poco non è quindi perché l’Italia non sa fare bene e di più, bensì perché la sua economia è letteralmente divisa in due tronconi, dove metà del sistema produttivo viaggia su livelli europei e l’altra metà arranca faticosamente. E se questa spaccatura esiste, come esiste, è cruciale continuare, non esitare ad adottare, e promuovere, politiche governative che sostengano con forza questa spinta.
Luca Rossi