Fieldbus negli impianti di processo…
Dalla rivista:
Fieldbus & Networks
Secondo Polita il bus di campo deve permettere una copertura globale dell’intero impianto. Fatta salva l’impossibilità di duplicare ogni sensore, organo di regolazione o altro elemento in campo, occorre assicurare il trasporto veloce e sicuro delle informazioni da e verso i centri decisionali. “Da questo punto di vista esistono soluzioni in grado di garantire la ridondanza delle reti da e verso il campo,” egli aggiunge, “anche con l’uso di supporti quali le fibre ottiche che sono in grado di eliminare i pericoli dovuti all’attraversamento di zone con potenziali disturbi per i segnali trasportati o a pericolo di esplosione e di stendersi per svariati chilometri coprendo l’intero impianto. Si ricordi poi la possibilità data da una soluzione fieldbus di collegare sia sistemi di controllo di processo basati su DCS o PLC, sia sistemi di sicurezza tipo ESD o BMS, storicamente segregati e nella maggior parte dei casi separatamente cablati, consentendo il reale collegamento di tutte le realtà operanti sull’impianto”, conclude Polita.
“Ciascun fieldbus ha differenti modalità per garantire la sicurezza del flusso informatico”, afferma Scarfì. La ridondanza, per esempio, viene affrontata in diversi modi. Su Modbus e Profibus-DP (fieldbus monomaster) esistono dispositivi che possono connettersi, con due porte separate, a due reti diverse, gestite in parallelo, che fanno capo a due diversi master (schede PC o schede PLC) inseriti in una o due apparecchiature (PC o PLC) in cluster o, comunque, comunicanti fra loro. Altri bus prevedono il multimaster o un collegamento ad anello che garantisce la comunicazione in ogni caso. “In quest’ambito prende sempre più piede Ethernet TCP/IP che, con la sua configurabilità variabile (stella, bus e anello) e le sue infinite combinazioni di collegamento, garantisce la sicurezza della trasmissione del dato”, egli afferma. Secondo Uggeri la crescente fiducia nei bus di campo ha e sta cambiando i concetti di sicurezza tradizionali. Inoltre, i fieldbus vengono arricchiti di quelle funzionalità fortemente richieste dal mercato: “Profibus ha introdotto la funzione di ridondanza e ProfiSafe per garantire con l’una la possibilità di gestire e monitorare il dispositivo tramite due reti fisiche distinte, con la seconda la certezza che il segnale d’allarme venga elaborato con priorità assoluta. Per le situazioni più critiche occorrerà applicare i concetti di duplicazione non solo delle reti, ma anche dei singoli dispositivi”, egli aggiunge.
Una piramide per modello?
Nel settore del manufacturing è ormai consolidato il classico modello piramidale delle funzioni d’automazione. Questo vale anche per l’industria di processo o si seguono approcci d’altro genere?
“Le tecnologie fieldbus più diffuse per il controllo di processo lasciano in realtà il progettista del sistema di controllo libero di propendere per architetture con funzioni gerarchicamente distribuite tra i livelli d’automazione o per strutture piatte o a rete”, spiega Allegro. Tipicamente, i flussi di dati e informazioni possono essere meglio segregati nella prima tipologia di soluzioni, con una migliore allocazione delle bande disponibili. “La seconda tipizzazione offre però maggiore flessibilità nell’organizzazione topologica e nell’estendibilità della rete”.
Afferma Villa: “In futuro ritengo che il modello piramidale sarà completato da una maggiore distribuzione delle funzioni per garantire un’elevata disponibilità del sistema”.
Secondo Galloni il modello piramidale delle funzioni d’automazione non è diverso tra impianto di processo e manifatturiero: “Il vantaggio sostanziale, con l’uso di Foundation Fieldbus, sta nella completa trasparenza delle informazioni dal basso verso l’alto, facendo diventare il dispositivo di campo un tassello importante della catena e non un semplice informatore di stato”.
Afferma Rizzi: “Con l’architettura di controllo integrata NetLinx Rockwell Automation intende offrire soluzioni di comunicazione che prescindano dal classico modello piramidale. Questa tecnologia, infatti, assicura l’integrazione dei dati dal livello di produzione a quello di gestione in modo trasparente senza bisogno di ripartire il traffico dati in modo piramidale su più reti che, spesso, adottano livelli applicativi diversi, rendendo impossibile il trasferimento delle informazioni senza l’impiego di bridge o gateway in grado di convertire il formato dei dati in protocolli diversi”. Secondo Polita è difficile dare una risposta a questa domanda in quando oggi gli standard disponibili propongono differenti soluzioni, partendo da differenti modalità di affrontare il problema. “Se i fieldbus sono nati per migliorare la comunicazione, aumentare le informazioni e ottimizzare la gestione del controllo di processo non ha senso abbandonare il modello piramidale. Le attuali apparecchiature di campo intelligenti, tuttavia, non si possono sostituire in tutto ai tipici sistemi di controllo, che sono in grado di assecondare le più sofisticate strategie di regolazione inglobando oggi non solo i controlli analogici, ma anche quelli di tipo logico. Se così fosse, finiremmo per tornare a impianti vecchi di 30 anni, con la sola differenza che i singoli regolatori sarebbero distribuiti in campo anziché a fronte quadro e con la necessità di ricorrere ad altri metodi per la loro integrazione con il resto dell’impianto”, conclude Polita.
Afferma Scarfì: “Nell’industria di processo si è sempre utilizzato il DCS come acquisitore e distributore di dati, un unico accentratore e un’unica fonte. Questo determinava un appiattimento dei livelli del modello piramidale; i più alti, come ufficio e strato manageriale (EDP, ERP, MES, e via dicendo) erano completamente staccati dal livello di processo; l’unico collegamento possibile era realizzato tramite lo scambio di moduli cartacei o, più recentemente, di file di testo formattati”. Oggi, con l’espansione dei fieldbus e soprattutto di Ethernet TCP/IP si è aperta la strada all’utilizzo del PC da ufficio come visualizzatore dei dati di processo. Le informazioni vengono visualizzate e ricevute direttamente dai PC dove vengono analizzate dai programmi di statistica e programmazione aziendale.
Le architetture d’automazione più utilizzate derivano, secondo Uggeri, da una struttura piramidale; si tende a affiancare lo Scada di supervisione al PLC di controllo collegandolo direttamente alla rete di campo. Tale architettura elimina la dipendenza del sistema di supervisione da quello di controllo, ma complica il trasferimento dei dati verso lo Scada.