Fidarsi della nuvola: il cloud computing nel finance è un’utopia?

Luca Collacciani, sales manager di Akamai, spiega i vantaggi che il cloud può apportare al mondo del banking

Pubblicato il 9 aprile 2012

Sono molti i settori industriali che, a oggi, si avvalgono di tecnologie cloud ben consolidate, di piattaforme avanzate e data center potenti. Eppure, le istituzioni finanziare vedono ancora con diffidenza la transizione da un’infrastruttura proprietaria a una cloud-based. Luca Collacciani, sales manager di Akamai, ci spiega i vantaggi che il cloud può apportare al mondo del banking e perché… fidarsi è meglio.

Negli ultimi anni, parecchie aziende che forniscono servizi finanziari hanno investito somme ingenti per migliorare la potenza di elaborazione dei sistemi informatici a supporto delle loro applicazioni. A questi forti investimenti, vanno ad aggiungersi, da un lato, una serie di procedure legali che limitano le dinamiche di storage e di movimentazione dei dati e, dall’altro, l’entrata in vigore di standard che definiscono le modalità di gestione della sicurezza dei dati per pagamenti effettuati con carta di credito, quali il PCI (Payment Card Industry). Regolamentazioni sempre più numerose si sommano quindi, almeno superficialmente, alle buone ragioni che portano le istituzioni finanziarie a stare alla larga dal cloud computing. Tuttavia, a un’analisi più approfondita, il cloud computing riserva alcune sorprese. Proviamo a immaginare il cloud come un’estensione della nostra infrastruttura, piuttosto che come un’alternativa a essa. Noteremo allora che specifiche aree della nostra infrastruttura si prestano naturalmente al cloud, come il web-tier (server web) e i livelli di sicurezza. Prendiamo in esame il web-tier: la maggior parte delle istituzioni finanziarie utilizza internet per distribuire applicazioni – non soltanto siti web – a partner e clienti. In entrambi i casi, affidabilità e prestazioni sono fondamentali, in modo particolare per la gestione del contante e per i sistemi di trading. Ma come garantire a utenti sparsi in tutto il mondo, che sperimentano velocità di connessione differenti, la stessa esperienza di fruizione del sito?

Sistemi cloud distribuiti, come il network di Akamai, ospitano i contenuti web su migliaia di server sparsi in tutto il mondo e consentono agli utenti di usufruire dei contenuti di un portale in maniera semplice e veloce, in quanto sono i contenuti che si avvicinano all’utente finale e non viceversa. Questi server, connessi tra loro, creano infatti uno strato immediatamente superiore all’internet che conosciamo, necessario per re-indirizzare il traffico in maniera rapida ed efficiente e portano i contenuti quanto più vicino possibile alla loro destinazione finale. In questo modo, il traffico sul web può essere gestito in modo ottimale anche nel caso di eventi imprevisti, quali malfunzionamento di internet, picchi di traffico e richieste d’accesso a un’applicazione o a un sito web superiori alla media. Un approccio cloud è inoltre ottimale per proteggere un’azienda e i suoi asset da aggressioni esterne. Un sistema cloud riesce infatti a individuare e a bloccare gli attacchi direttamente alla sorgente, contrastando il congestionamento del data center che protegge le applicazioni. Inoltre, all’aumentare del volume di traffico degli attacchi, il cloud rende disponibili nuovi firewall on-demand. Ovviamente, queste risorse sono in grado di proteggere tutte le applicazioni internet, sia quelle presenti su un’infrastruttura proprietaria sia sulla piattaforma cloud.

E’ dunque indubbio che questi approcci aprano nuove porte ai professionisti dell’IT e della sicurezza, in quanto consentono di prendere in esame programmi di protezione della propria infrastruttura che, se realizzati all’interno del data-center, sarebbero economicamente insostenibili. Un esempio: lo scorso anno, un’istituzione finanziaria cliente di Akamai ha subito un attacco DoS finalizzato a rendere inutilizzabile il loro sito di retail banking. Il picco di traffico legato all’attacco ha raggiunto gli 1.46 Gbps, un valore ben 73 volte superiore alla norma; le pagine viste al secondo sono state più di 6.600, ossia 220 volte le normali visite. Durante l’attacco, Akamai ha consentito un offload della banda larga pari a più del 95%, riducendo il picco di traffico a soli 38 Mbps. In conclusione, è quindi legittimo sostenere che specifiche funzioni di un’infrastruttura finanziaria non possano che trarre vantaggio da un sistema di cloud computing distribuito. Il cloud computing merita dunque, se non altro, almeno un’attenta valutazione da parte del settore finance: nei prossimi anni, per vincere le sfide che comporta la gestione di un’infrastruttura IT moderna, potrebbe esserci un’inversione di rotta anche in questo settore.

Akamai: www.akamai.com



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