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GIUGNO-LUGLIO 2016

AUTOMAZIONE OGGI 391

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ttraverso una recente sentenza del 19 feb-

braio 2016, n. 3291, la Cassazione Civile ha

finalmente fatto chiarezza in merito alla

fattispecie di reato da ‘straining’.

La questione in esame sottoposta al va-

glio della Suprema Corte concerneva

una richiesta di risarcimento del danno

da mobbing e de-mansionamento pro-

posta da una dottoressa dipendente di

un’azienda ospedaliera, la quale reputava

di aver subìto tali condotte sul luogo di

lavoro. In particolare, la danneggiata, tra

l’altro, dava risalto a due avvenimenti

specifici in cui si sarebbero palesati gli

atti vessatori posti in essere dal suo su-

periore, pertanto riconducibili al reato da

mobbing.

In un episodio il primario non aveva con-

segnato alla dottoressa la scheda di valu-

tazione, nell’altro la danneggiata aveva

fornito una consulenza nel reparto presso

cui lavorava, senza l’approvazione dello

stesso primario, e quest’ultimo aveva rea-

gito in modo violento, giungendo persino

a stracciare la relazione di consulenza che

A

Risponde alla nostra rubrica l’Avv. Cristiano Cominotto di Milano specializzato nelle problematiche legali in campo elettronico, infor-

matico e dei sistemi di produzione. Chiunque desiderasse proporre o approfondire argomenti legali su queste pagine può telefonare

al n. 02/5450823 o scrivere a:

ao-fen@fieramilanomedia.it

Cominotto @cri625

AVVOCATO

Giovanna Calderoni, Cristiano Cominotto

AO

Il risarcimento del danno

da ‘straining’

la dottoressa aveva predisposto e che doveva essere allegata a una cartella clinica. In

riferimento a tali episodi, gli ermellini confermavano quanto precedentemente statuito

dai giudici di secondo grado, ovvero: “l’esclusione che tali due fatti abbiano dato luogo

a un vero e proprio mobbing”. Invero, la Cassazione reputava che mancasse “l’elemento

della oggettiva frequenza della condotta ostile, al di là della soggettiva percezione da

parte della vittima di una situazione di costante emarginazione”. Effettivamente, se-

condo una giurisprudenza ormai consolidata, perché possa sussistere una fattispecie

di mobbing è necessaria la realizzazione dei seguenti parametri: ambiente lavorativo,

durata, frequenza, più azioni ostili, dislivello tra gli antagonisti, andamento secondo fasi

successive, intento persecutorio. Nel caso di specie manca l’elemento della continuità

e pertanto ciò comporta l’esclusione dell’applicazione del danno da mobbing. Al con-

trario, gli ermellini ritenevano opportuno applicare la fattispecie di reato da ‘straining’.

L’azione di ‘straining’ o ‘strainante’, termine che deriva dall’inglese ‘forzatura’ o ‘mettere

sotto pressione’, si esplica con atti o comportamenti solo discriminatori dell’azione del

‘mobbing’, ma limitati a singoli casi isolati e non reiterati nel tempo. Tali condotte provo-

cano alla vittima di ‘straining’ una situazione di stress lavorativo tale da procurarle danni

psicofisici e/o esistenziali.

Nel caso di specie, gli ermellini così meglio definivano la fattispecie di ‘straining’: “(…)

una situazione lavorativa conflittuale di stress forzato, in cui la vittima subisce azioni

ostili limitate nel numero e distanziate nel tempo (quindi non rientranti nei parametri del

mobbing) ma tale da provocarle una modificazione in negativo, costante e permanente,

della condizione lavorativa…”. I giudici della Cassazione reputavano che la dottoressa

fosse effettivamente in una condizione lavorativa astiosa, tanto che le era stato rilevato:

“un danno biologico del 10% proprio in relazione a un disturbo di adattamento con

ansia e umore depresso poi cronicizzato, a causa della situazione disagevole nella quale

la danneggiata era stata mandata a operare”.

In conclusione, confermando quanto sentenziato in secondo grado, gli ermellini rico-

noscevano nei confronti della vittima, un risarcimento del danno da ‘straining’ e non

da mobbing. Invero, essendo lo ‘straining’ una forma più attenuata del mobbing, en-

trambe le fattispecie possono essere ricondotte alla condotta contraria all’articolo 2087

del Codice Civile. Tale norma stabilisce espressamente che: “L’imprenditore è tenuto ad

adottare nell’esercizio dell’impresa le misure che, secondo le particolarità del lavoro, l’e-

sperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale

dei prestatori di lavoro”.