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GIUGNO 2013
AUTOMAZIONE OGGI 364
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limitata di aziende in difficoltà e a rischio
chiusura e/o totale delocalizzazione, quale
si è manifestata e si manifesta in altri am-
biti manifatturieri nazionali. Anche la re-
strizione creditizia non esenta di sicuro la
chimica, ma la discreta situazione di cassa
delle aziende non ha determinato quella
fragilità a valanga che ha caratterizzato altri
ambiti (e il relativo indotto); in altre parole
le aziende hanno sono statemolto attente a
rafforzare la liquidità a breve termine.
In conclusione, il ROI del comparto è stato
pari al 6%nel 2011, contro unamediamani-
fatturiera del 4%, mentre il leverage (ossia il
rapporto tra debiti finanziari e capitale pro-
prio) è stato dello 0,6% (contro lo 0,9).
Export: un archetipo
strutturale
Da sempre esportatrice, la chimica italiana
ha ulteriormente potenziato questa voca-
zione, sia per capacità endogena sia spinta
dalla crisi; l’export è infatti aumentato
dell’8% negli anni tra il 2006 e il 2011, del
12% rispetto al 2000 e addirittura del 28%
tra il 1991 e il 2011. La chimica è il settore
italiano con la quota più elevata di imprese
esportatrici sul totale del settore (53%, in-
clusa la farmaceutica).
In termini quantitativi la performance
all’export è in linea con quella dei mag-
giori competitor a livello europeo: più del
40% della produzione varca i confini e
complessivamente ha generato un surplus
commerciale di 534 milioni nel 2011, con
picchi di redditività generati dalla chimica
fine e specialistica. Le imprese che operano
sui mercati esteri (anche delocalizzando o
tramite CMO) sono 133, alcune delle quali
medio-piccole (il 71% del totale) e il grado
di internazionalizzazione è superiore a
quello medio del manufacturing nazionale
(25% contro 19%).
Quindi secondo Federchimica le aziende
che per prime e più miratamente si sono
rivolte ai mercati internazionali si sono al-
locate più favorevolmente, conseguendo
fatturato e output pari o di poco minori
di quelli pre-crisi (nel 74% dei casi). Infatti
i mercati esteri danno buoni risultati sia
in volumi che in redditività, perché la do-
manda locale è talmente attiva da permet-
tere il trasferimento dei costi delle materie
prime sul prezzo al cliente finale (grazie alla
tipologia specializzata del prodotto offerto).
Federchimica ha analizzato i gruppi chimici
italiani medio-grandi che hanno puntato
sull’estero e ha verificato che nel 2012,
anche in presenza del rallentamento mon-
diale e di una domanda frenante a livello
europeo, l’export chimico è cresciuto con
apprezzabile dinamismo (+2,2% nei primi
10 mesi): si è verificata una compensazione
della perdita dell’1% nel mercato intra-UE
con una crescita in quelli extra-UE (+7,5%).
Come sempre la chimica fine e la speciali-
stica sono in espansione (+5%) rispetto a
quella di base e alle fibre.
Innovare come must
La spinta all’innovazione, come conditio
sine qua non per il mantenimento di un
portafoglio prodotti attraente per il mer-
cato nel lungo periodo, si è percepita già
a partire dagli anni Duemila. L’attività di
ricerca coinvolge il 48% delle imprese, una
percentuale doppia rispetto all’industria
(21%) e addirittura superiore rispetto al
medium-high tech (34%). L’erosione dei
margini causata dalla crisi strutturale ha
portato ad un’accurata selezione di pro-
dotti e impianti, con il taglio di quelli meno
innovativi: la tensione esercitata sui costi di
input ha determinato la scelta dei prodotti
finali.
Circa un terzo delle imprese non introduce
innovazioni che siano copie omologhe
della concorrenza, ma cerca di introdurre
ale la pena di ricordare che, per quanto riguarda il mercato italiano, l’Unione Petrolifera raggruppa le aziende di raffinazione e pro-
duzione di prodotti petroliferi, mentre gli altri derivati sono di competenza di imprese facenti capo a Federchimica (alla quale sono
associate anche aziende che si occupano pure di principi attivi e intermedi per la farmaceutica, prodotti per automedicazione e
biofarmaceutica). Farmindustria infine raccoglie la produzione farmaceutica in senso stretto. La Federazione nazionale della chimica
aggrega circa 3.000 aziende, molte delle quali filiali di gruppi esteri, ma non bisogna dimenticare il tessuto di PMI molto ricco dal
punto di vista della specializzazione e della ricerca. La tipologia di produzione spazia dalla chimica di base a quella fine e specialistica, anche se
negli ultimi anni la prima ha ceduto sempre maggiore spazio alle seconde. Il principale gruppo italiano, Versalis (Eni), fattura 6,5 miliardi di euro
e in Italia ne produce per oltre 5; da tempo ha abbandonato la politica delle dismissioni, innestando una green chemistry sui tradizionali impianti
petrolchimici e rivalutando gli elastomeri, core business, attraverso joint-venture internazionali e nuovi prodotti. In Sardegna produrrà “mater
bi”, plastica biodegradabile da colture di cardo; è in previsione anche un accordo per la produzione di bio-gomma destinata alla realizzazione di
pneumatici ricavati da un arbusto, il guayule, che rappresenta una fonte alternativa di gomma naturale rispetto alla tradizionale Hevea brasiliensis.
V
Chi produce chimica e petrolchimica in Italia
Fonte: http://businessfacilities.com
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