L’automazione sbarca sulla cometa
L’esplorazione spaziale è sempre stata un fattore propulsivo e un banco di prova per le nuove tecnologie: dalla microelettronica, decollata con le imprese della serie Apollo che ha portato l’uomo sulla Luna; alla microgravità degli esperimenti eseguiti sulla Stazione Spaziale Internazionale. Non fanno eccezione, in questo inizio di XXI secolo, le nuove frontiere dello spazio, che vedono da un lato satelliti sofisticati per missioni che studiano il cosmo primordiale o la materia oscura, dall’altro quelli che esplorano le frontiere interne al sistema solare, come i satelliti naturali dei pianeti giganti o la superficie degli asteroidi o dei nuclei delle comete.
La più popolare di queste è la missione è Rosetta, giunta ormai alle sue fasi finali dopo un viaggio di oltre 10 anni che l’ha portata a 511 milioni di chilometri da noi e dopo aver vissuto l’exploit del rilascio del lander Phylae che il 12 novembre 2014 è andato a depositarsi sulla cometa 67P/Churyumov-Gerasimenko.
L’analisi delle operazioni condotte da Phylae e dalla sua strumentazione è istruttivo anche in vista di possibili applicazioni terrestri in situazioni estreme o speciali. In particolare è interessante il sottosistema SD2, Drill, Sample and Distribution, un insieme coordinato di automatismi che presiedeva al prelievo di campioni dal suolo cometario e alla loro distribuzione ai vari strumenti di analisi chimico-fisica. Il SD2, sviluppato al Politecnico di Milano, è un elemento di elevata miniaturizzazione, condensando in appena 4 kg tecnologie ad altissime prestazioni: è stato in grado di resistere alle condizioni ambientali proibitive in cui ha operato, riuscendo a penetrare, con uno speciale trapano, nel nucleo della cometa sino a 20 cm di profondità.
Concepito come un sistema robotico a quattro gradi di libertà, ha visto una particolare cura per gli aspetti tribologici e di affidabilità; tutti i materiali, i processi e le soluzioni tecnologiche sono stati scelti in modo da rispettare condizioni di esercizio molto stringenti.
Durante le operazioni sulla cometa SD2 ha interagito con tre apparecchiature scientifiche: una composta da sei micro-telecamere per scattare foto panoramiche della superficie e un microscopio abbinato a uno spettrometro a infrarossi per studiare la composizione e la struttura di campioni prelevati dalla superficie; due comprendenti analizzatori di gas evoluti, uno per identificare le molecole organiche complesse nella loro composizione molecolare e l’altro per ottenere misure accurate di rapporti isotopici degli elementi leggeri.
Un meccanismo automatizzato ha consentito di distribuire i campioni prelevati (del diametro di circa 2,5 mm) in appositi contenitori in modo da rendere possibile lo studio delle loro proprietà mediante alcuni degli strumenti a bordo del lander. Il funzionamento del sistema SD2 era regolato da un software avanzato, installato nel computer di bordo di Phylae.
Le performance di Rosetta e di Phylae saranno di grande importanza per progettare i sistemi di automazione delle prossime missioni interplanetarie, su Marte e sui satelliti di Saturno. Ma farà bene a prestar loro attenzione anche chi deve organizzare, qui sul pianeta Terra, l’automazione di una laboratorio di analisi, o una linea di confezionamento o di assemblaggio.
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