AI e industria: un binomio vincente per competitività e crescita
Dalla rivista:
Automazione Oggi
L’industria guarda sempre più all’intelligenza artificiale per poter affrontare le sfide poste in essere dall’attuale scenario mondiale e migliorare efficienza, flessibilità, sostenibilità e competitività
“L’intelligenza artificiale non si può fermare. Ma l’uomo può sfruttarla a suo favore” così ha affermato Colin Crouch, considerato uno dei massimi sociologi e politologi viventi, in merito agli sviluppi dell’intelligenza artificiale. È davanti agli occhi di tutti: l’AI sta trasformando sia la vita quotidiana, proponendosi come un valido ausilio per moltissime attività dalla fotografia alla creazione di immagini, sia i processi produttivi, offrendo vantaggi concreti in termini di flessibilità, affidabilità, sicurezza, riduzione dei costi e anche sostenibilità. Non a caso i principali analisti prevedono stime a rialzo del valore del mercato dell’AI: secondo Grand View Research, per esempio, crescerà del 36% ogni anno, raggiungendo un valore di 1,8 trilioni di dollari entro il 2030.
L’AI a sostegno dell’industria
L’intelligenza artificiale è considerata da molti l’elemento trainante di una nuova rivoluzione industriale, capace di ridefinire l’automazione su una scala che potrebbe superare persino l’impatto della catena di montaggio di Ford. Lo conferma, per esempio, lo studio ‘The economic potential of generative AI’ di McKinsey che, attraverso l’analisi di 63 casi d’uso in 16 funzioni aziendali, ha stimato un potenziale valore aggiunto per l’economia globale tra 2,6 e 4,4 trilioni di dollari all’anno (per avere un riferimento ricordiamo che il PIL dell’Italia nel 2023 era stimato in circa 2,254 miliardi di dollari). In effetti, l’AI generativa si sta affermando come fattore chiave in numerosi ambiti industriali: dal monitoraggio delle prestazioni dei macchinari alla generazione automatica di codice PLC, dalla manutenzione predittiva all’efficientamento del processo produttivo, dall’ottimizzazione energetica fino all’impiego di robot intelligenti che si adattano in tempo reale alle esigenze del mercato. Si tratta di cambiamenti a livello produttivo che stanno impattando anche l’aspetto organizzativo, generando nuove professioni che richiedono know-how specifici e capacità di interazione uomo-macchina ancora inesplorate.
Robotica e AI: un mercato che varrà 64 miliardi di dollari
L’impatto dell’AI generativa nella robotica è particolarmente interessante. Grazie alla capacità di generare modelli e simulazioni, l’AI accelera l’apprendimento dei robot, consentendo loro di adattarsi rapidamente a nuove situazioni operative e ottimizzando le performance. Inoltre, rende possibile una coordinazione più intelligente tra macchine, permettendo ai robot di suddividere i compiti in base alle loro caratteristiche specifiche, aumentando così l’efficienza e riducendo i tempi di inattività. L’AI generativa favorisce anche la condivisione di sensori, dati e strumenti, migliorando la sinergia e la cooperazione tra dispositivi in ambienti produttivi complessi. Tuttavia, restano alcune criticità: da un lato la generazione di dati sintetici potrebbe non rappresentare correttamente la complessità del contesto reale, dall’altro AI potrebbe dare origine a comportamenti inattesi o non desiderati nei robot. Ne consegue che, ad oggi, la supervisione umana e l’implementazione di sistemi di controllo avanzati continueranno a essere rilevanti per garantire sicurezza e conformità agli standard richiesti. Per comprendere il reale potenziale di sviluppo basta considerare che secondo l’International Federation of Robotics il numero di robot operativi a livello globale ha raggiunto circa 3,9 milioni di unità e che Statista stima una crescita della robotica integrata con AI del 24,80% entro il 2030, con un volume di mercato di 64,35 miliardi di dollari.
Verso la rivoluzione industriale 5.0 con l’integrazione tra IoT e AI
Con l’approcciarsi dell’Industria 5.0, l’integrazione tra l’Internet of Things (IoT) e l’intelligenza artificiale generativa (GenAI) sta accelerando il passaggio di molte aziende verso un modello 5.0 e sta contribuendo a innovare settori strategici come salute, mobilità, telecomunicazioni, finanziario e assicurativo, entertainment e abitativo. La sinergia tra IoT e GenAI contribuisce a rendere la produzione un processo più flessibile e reattivo, capace di adattarsi alle fluttuazioni della domanda e di supportare la competitività globale. Da un lato l’IoT, con la sua rete di dispositivi connessi e sensori, permette di monitorare in tempo reale prestazioni, efficienza e personalizzazione degli impianti, dall’altro la AI sfrutta questi dati per fornire soluzioni immediate ed efficienti.
Scetticismo e responsabilità
Nonostante l’ottimismo generale e i vantaggi che molti hanno riscontrato, c’è chi è ancora scettico: secondo osservatori come Goldman Sachs, per esempio, non è chiaro se l’AI riuscirà ad avere realmente lo stesso impatto rivoluzionario di Internet o dei telefoni cellulari. Altri analisti si interrogano invece sull’effettivo ritorno dei forti investimenti fatti da colossi come Amazon, Google e Microsoft nella costruzione di infrastrutture per l’AI. Ci sono anche altre due criticità che sono portate frequentemente sul tavolo del dibattito: quella delle cosiddette ‘allucinazioni’ dell’AI generativa, ovvero, quando i modelli producono output incoerenti o errati, e quella della sicurezza e dell’uso etico dell’AI. Di fatto, se è vero che l’AI può guidare l’industria verso una nuova era di innovazione sostenibile, è altrettanto evidente che c’è la necessità di adottare un approccio e un impiego responsabile, che consideri non solo l’efficienza operativa, ma anche l’impatto etico e sociale sia all’interno dell’azienda sia verso un contesto globale.
L’opinione delle aziende
Secondo lo studio BCG AI Radar: From Potential to Profit with GenAI, il 90% dei CEO riconosce le potenzialità rivoluzionarie dell’intelligenza artificiale generativa, ma solo poche imprese stanno attualmente sperimentando questa tecnologia. Quali sono, a suo parere, i primi effetti positivi che si stanno vedendo grazie all’uso dell’AI e come si colloca la vostra azienda in questo contesto?
Roberto Carrozzo, head of Intelligence & Data, Minsait in Italia (www.minsait.com): Sebbene lo studio che Minsait ha realizzato con l’università Luiss Guido Carli mostri come l’implementazione dell’AI nelle aziende italiane sia ancora agli albori, i primi effetti positivi dell’adozione dell’AI si manifestano principalmente in quattro aree chiave. La prima, che corrisponde anche alla motivazione principale per l’implementazione di sistemi di AI per il 25% delle aziende, riguarda l’ottimizzazione dei processi e delle attività ripetitive. L’AI, infatti, consente di analizzare i dati e individuare modelli ricorrenti, automatizzando compiti di routine e migliorando l’efficienza operativa. Questo permette ai dipendenti di concentrarsi su attività più strategiche e a maggiore valore aggiunto. Un altro impatto significativo, nonché motivazione principale per l’adozione dell’AI per un’azienda su cinque, concerne la personalizzazione di prodotti e servizi: grazie alla capacità dell’AI di analizzare grandi quantità di dati sui clienti, le aziende possono offrire esperienze sempre più su misura, migliorando l’interazione con i consumatori e aumentando la loro soddisfazione. L’intelligenza artificiale, inoltre, sta rivoluzionando l’esperienza del cliente attraverso assistenti virtuali, chatbot e strumenti di co-pilot basati sull’AI, fornendo risposte rapide, accurate e personalizzate, sia attraverso canali digitali sia fisici. L’ultima area chiave, ma non per importanza, riguarda la capacità dell’AI di migliorare l’efficienza decisionale: l’analisi rapida e accurata di grandi volumi di dati garantisce che le decisioni siano prese su basi più solide e con maggiore affidabilità.
Marco Betti, senior account solution architect, Red Hat (www.redhat.com): È importante distinguere tra le aziende del settore IT, già avanti con l’intelligenza artificiale, e altri settori ancora in fase di sperimentazione o di prima adozione, come quello bancario-assicurativo, dei media, automotive e manifatturiero. L’avvento dell’AI generativa ha introdotto un cambiamento radicale nel modo in cui parliamo di informatica: non si tratta più soltanto di applicazioni, ma anche di modelli. Questi ultimi sono la chiave per ottenere risultati unici e personalizzati, ma richiedono enormi quantità di dati e infrastrutture sofisticate per essere addestrati e sviluppati, un investimento che solo poche aziende possono permettersi. La sfida per le imprese è quindi duplice: valutare l’usabilità dei modelli disponibili e investire nella loro personalizzazione per casi d’uso specifici. Nel contesto dell’AI, Red Hat si muove su tre direttrici principali. Primo, mette a disposizione piattaforme che permettono di lavorare con modelli di AI, offrendo l’integrazione con l’hardware di accelerazione, strumenti specifici e modelli open-source. Secondo, Red Hat arricchisce i propri prodotti con funzionalità di AI generativa, distribuite sotto il nome di Lightspeed, per aumentare la produttività e semplificare il lavoro degli specialisti IT. Infine, Red Hat abilita lo sviluppo e la distribuzione di applicazioni AI-enabled di terze parti, offrendo gli strumenti per sviluppare, gestire e scalare applicazioni AI in modo sicuro e agile.
Adriano Ceccherini, chief business officer, SAP Italia (www.sap.com/italy): Per SAP, AI significa business, perché l’intelligenza artificiale può avere un impatto su tutte le moderne piattaforme tecnologiche aziendali e su ogni applicazione enterprise. La nostra visione è di integrare l’AI nelle nostre soluzioni per aiutare i clienti a ottenere maggiore produttività, efficienza e sostenibilità in modo semplice. Secondo un recente studio che abbiamo svolto con IDC, il 63% dei dirigenti della supply chain e il 52% dei dirigenti delle operation hanno già una strategia di AI legata agli obiettivi. Il cinquantuno per cento dei 2.000 leader coinvolti nella ricerca sta integrando l’AI nei loro processi aziendali di pianificazione della supply chain e nelle applicazioni chiave a supporto dei processi decisionali. Un altro 58% la utilizza per aumentare l’efficienza operativa e la produttività dei dipendenti. Informazioni accurate e rilevanti in tempo reale aiutano a mitigare l’impatto che le interruzioni della supply chain possono avere su fornitori, produttori e distributori. E abbiamo risultati concreti: per esempio SMA Solar Technology AG, produttore di inverter solari per impianti fotovoltaici fondata nel 1981 in Germania che oggi opera in 20 Paesi con oltre 3.600 dipendenti, ha ottenuto importanti vantaggi dall’utilizzo delle soluzioni SAP, tra cui un aumento di circa il 15% della produttività della forza lavoro che opera sulla supply chain, una riduzione del 10% dei costi complessivi di pianificazione della supply chain e una riduzione del 10% dei costi di stoccaggio e del tasso di rotazione delle scorte.
Andrea Ariano, industry innovation and communication manager, Schneider Electric (www.se.com/it): Schneider Electric sta investendo molto sul tema dell’intelligenza artificiale, tanto da aver creato una struttura, l’AI Hub, che nasce come centro di eccellenza e innovazione per l’integrazione dell’AI nelle sue soluzioni e tecnologie. Abbiamo scelto di avere ‘molteplici approcci’ che definiamo ‘AI @ Scale’: in particolare, l’AI è uno strumento potentissimo per sfruttare l’expertise che abbiamo nei dominii di nostra competenza e supportare ancora meglio i clienti. Combinando le opportunità della gestione dell’energia e della moderna automazione industriale, puntiamo ad applicare l’AI per aumentare l’efficienza e la sostenibilità. Stiamo sviluppando differenti soluzioni per utilizzare l’AI negli ambiti di cui abbiamo maggiore conoscenza. Tra le direttrici più interessanti vediamo soluzioni che combinano AI, robotica e sistemi di visione con algoritmi che consentono, per esempio, di gestire in modo ottimale il controllo qualità, la riduzione degli scarti, la circolarità e di anticipare eventuali problemi così da ridurre al minimo fermi macchina e interventi non pianificati; ma anche l’uso dell’AI generativa come co-pilota, assistente alla programmazione/progettazione con approccio low code/no code dei sistemi di automazione, integrando tecnologie GPT. Un altro ambito importante di utilizzo è il supporto nei servizi di assistenza evoluti che offriamo ai clienti tramite il nostro Connected Services Hub, per esempio generando con l’AI istruzioni passo-passo per affrontare diverse situazioni a livello locale, reportistiche, analisi di trend.
Enrico Rigotti, country manager Italy, Universal Robots (www.universal-robots.com/it): Credo innanzitutto che sia necessario sottolineare come una tecnologia dirompente come l’AI, rispetto ad altre che l’hanno preceduta, abbia impiegato un lasso di tempo considerevolmente più breve a passare da semplice frontiera dell’innovazione, con poche applicazioni pratiche, a strumento di lavoro, un concreto supporto alla produttività delle aziende. E quindi un primo effetto positivo è stato senza dubbio quello di aver più semplicemente superato la barriera di diffidenza che precede ogni nuova tecnologia. L’AI è più accessibile rispetto ad altre tecnologie, e quindi ha spinto maggiormente la ricerca, sia quella pura che quella applicata. Questo vale soprattutto in paesi ad automazione spinta, come Germania, Korea, Giappone, USA. In Italia, però, oggi si considera l’AI generativa ancora principalmente come uno strumento ad appannaggio semi esclusivo delle grandi aziende, che possono istruirla e costruire prompt precisi, forti di uno storico sedimentato di big data. Alcuni passi concreti li stiamo però facendo anche qui, e la robotica collaborativa è stato un viatico importante per facilitare l’ingresso dell’AI in produzione in Italia. Si tratta di due tecnologie immediate, semplici e che si parlano. UR ha una partnership attiva con Nvidia, fra i principali player del settore dell’AI, e sta testando con successo numerose applicazioni in cui l’AI guida la robotica e ne rende più agevole la programmazione: dal controllo qualità, alla movimentazione autonoma, al bin picking con sistemi di visione avanzati, fino a protocolli di programmazione semplificati. Abbiamo di recente anche sottoposto 1.200 imprese in Europa e negli USA a una survey in cui abbiamo chiesto loro che tipo di rapporto avessero con questa tecnologia: quasi il 50% implementerà sistemi di AI, IoT e cloud nei prossimi 2 anni.
Quali sono le principali sfide che la vostra azienda ha incontrato nell’integrare l’intelligenza artificiale generativa con l’Internet of Things nei processi produttivi?
Carrozzo: Minsait ha avviato una profonda trasformazione interna attraverso l’introduzione di soluzioni AI innovative. Queste tecnologie non solo migliorano la produttività e ottimizzano i processi interni, ma offrono anche ai clienti soluzioni personalizzate che facilitano la loro trasformazione digitale. Una delle principali applicazioni aziendali in cui l’AI sta già dimostrando le sue capacità di alleato è il co-piloting per lo sviluppo del software. Grazie a queste soluzioni, e al loro alto grado di accettazione all’interno dell’azienda, Minsait ha registrato un miglioramento della qualità del codice, la riduzione degli errori e un aumento di produttività. In questo processo, la sfida maggiore è stata promuovere l’adozione diffusa di questi strumenti, specialmente tra i professionisti più anziani che sono stati inizialmente più restii ad adattarsi. Oltre all’integrazione dell’AI nello sviluppo del software, l’azienda sta rivoluzionando i propri processi di servizio e incrementando la produttività interna grazie a soluzioni proprietarie che uniscono automazione, AI tradizionale e generativa. Queste tecnologie sono progettate per ottimizzare processi fondamentali come la previsione della domanda, l’estrazione di informazioni dai moduli e il supporto funzionale, tra gli altri.
Betti: Pur non essendo coinvolta direttamente nell’Internet of Things, Red Hat sta affrontando diverse sfide nell’integrazione della GenAI nell’ambito dell’Edge Computing, come la gestione dei dati e della latenza. Per quanto riguarda l’AI nel contesto IoT, la sfida è riuscire a gestire dati generati continuamente da sensori e dispositivi su larga scala e con tempi di risposta rapidi, soprattutto nell’edge, dove la capacità di calcolo e la larghezza di banda sono limitate. Ci sono soluzioni in Red Hat che offrono funzionalità di orchestrazione che rispondono proprio a questa necessità. Per quanto riguarda la sicurezza, gli ambienti IoT, soprattutto quando utilizzano l’AI, sono vulnerabili a potenziali attacchi. Integrare le infrastrutture in ambienti industriali, rispettando normative specifiche, aggiunge un ulteriore livello di complessità. Questi ostacoli sottolineano la necessità di bilanciare la potenza di calcolo, la gestione dei dati in tempo reale e la sicurezza nelle implementazioni di AI generativa e IoT. Se parliamo di processi legati alla catena del valore del software, anche qui Red Hat affronta e fornisce soluzioni all’automazione della gestione del ciclo di vita dei modelli di AI: permette di automatizzare la catena del valore dello sviluppo, addestramento, tuning e inferenza dei modelli AI secondo le best practice del MLOps. Sempre in tema di automazione e di intelligenza artificiale, la prima sfida affrontata da Red Hat è stata l’integrazione delle capacità dell’AI generativa con una piattaforma di automazione ad hoc, con la quale gli specialisti di automazione possono creare e gestire i contenuti di Red Hat Ansible Automation Platform in modo molto più efficiente e assistito.
Ceccherini: I benefici dei progetti basati su queste tecnologie sono chiari e immediati. Le aziende sono consapevoli che con questi strumenti possono analizzare i propri dati in combinazioni quasi illimitate con altri tipi di insight, quali feedback dei clienti, report meteo, analisi di marketing e altro ancora. Man mano che i sistemi apprendono nel tempo e i set di dati diventano più grandi e precisi, le imprese possono iniziare anche a sviluppare conoscenze sempre più complesse, sofisticate e utili per competere, creare efficienze e soddisfare meglio le richieste dei clienti. La sfida reale però risiede nei presupposti che bisogna soddisfare per poter trarre effettivamente vantaggio dall’utilizzo dell’AI. La prima condizione è che l’azienda abbia una solida data strategy. I vantaggi generati dall’AI sono realmente tali solo se i dati di partenza sono corretti. La seconda condizione è il cloud: l’innovazione passa dal cloud, è un cammino segnato. Ognuno lo percorrerà con il proprio ritmo, ma non si torna indietro. E non è un caso che in Italia stiamo osservando una forte domanda per le nostre soluzioni cloud, dall’ERP alla gestione della customer experience, delle risorse umane o dello spend management. Nei primi sei mesi di quest’anno siamo cresciuti del 47% in revenue cloud. La terza condizione è rappresentata dalla trasformazione dei processi. L’intelligenza artificiale può ridurre drasticamente il tempo necessario per implementare il process mining e produrre insight significativi e su misura solo se i processi sono ben progettati e abilitati.
Ariano: L’IoT consente di raccogliere da macchine e impianti interi una quantità di dati operativi e contestuali senza precedenti: è molto importante che questi dati siano dati di qualità a cui l’AI generativa possa attingere per supportare l’attività di programmazione, la creazione delle reportistiche e per offrire i servizi più evoluti di cui accennavamo in precedenza. Se vogliamo usare l’AI per l’ottimizzazione di sistemi e consumi, dato che il suo potere è realizzare analisi su basi dati che gli umani non potrebbero mai gestire efficacemente e sfruttare per intero, è estremamente importante assicurarsi di avere le informazioni giuste. Questo significa anche dover abbattere dei silo informativi, che spesso resistono, tra ambito produttivo e sistemi informatici aziendali dedicati ad altri processi. C’è poi il tema delle infrastrutture locali: per sfruttare in realtime i dati c’è bisogno di tecnologie distribuite a livello edge, che riducano la latenza e dispongano della capacità di calcolo necessario. Sono tutti elementi che vanno al di là della disponibilità di ‘connettività’ e che si devono considerare e affrontare per sfruttare davvero le applicazioni con AI generativa.
Rigotti: Da anni lavoriamo per integrare i nostri cobot con la sensoristica e l’Internet of Things negli ambienti produttivi e i risultati sono stati eccellenti. Abbiamo creato con i nostri partner cloud platform per il controllo a distanza delle apparecchiature e sistemi di comunicazione sicuri. I bracci collaborativi UR, grazie al supporto integrato per i protocolli EthernetIP, Profinet, Modbus e TCP/IP, possono operare in qualsiasi ambiente industriale IIoT. L’interfaccia software dei cobot UR permette inoltre di accedere in maniera sicura ai dati di produzione e monitorare in questo modo produttività e qualità erogata, permettendo alle aziende di tenere costantemente sotto controllo i risultati raggiunti. L’integrazione dell’AI è stata quindi soltanto un ulteriore passo in avanti in questa direzione di digitalizzazione del processo. La vera sfida è come sempre l’acquisizione del dato, preludio necessario all’istruzione dell’AI e in questo, l’aver da tempo predisposto i nostri cobot a registrare dati e a comunicarli, ci sta agevolando notevolmente a costruire quello ‘storico’ necessario a istruire l’intelligenza artificiale con successo. La sfida successiva, una volta testata sul campo l’efficacia di questi sistemi, è fare breccia nella cultura aziendale e vincere le usuali ritrosie a innovare. Ma anche in questo caso, l’aver proposto per primi una tecnologia innovativa ormai 15 anni fa, ci ha allenati al dialogo con le imprese e all’alfabetizzazione. Ci arriveremo.
L’intelligenza artificiale suscita opinioni contrastanti per quanto riguarda il mondo del lavoro: quali competenze e profili professionali ritenete siano fondamentali per gestire e sviluppare soluzioni basate sull’intelligenza artificiale?
Carrozzo: Secondo il rapporto ‘Intelligenza Artificiale in Italia’, realizzato da Minsait in collaborazione con l’Università Luiss Guido Carli, la mancanza di talenti qualificati è una delle principali barriere allo sviluppo dell’AI, con il 19% delle aziende che evidenzia questo problema. Le figure professionali più richieste includono principalmente il ricercatore dell’AI e il data scientist, ruoli essenziali per l’analisi dei dati e lo sviluppo di modelli di apprendimento automatico. Questi profili, che rappresentano circa il 75% della domanda, sono cruciali per la gestione e l’implementazione delle soluzioni basate sull’intelligenza artificiale, poiché combinano competenze tecniche avanzate in settori come la matematica, la statistica e la programmazione con una profonda comprensione dei modelli di machine learning e deep learning. Ma la rivoluzione dell’intelligenza artificiale coinvolge anche tutti i livelli aziendali. Oltre alla formazione e al reskilling del personale, è necessario adattare i processi organizzativi, assegnando ruoli chiari e assumendo nuove risorse con competenze specifiche. Un cambiamento culturale è essenziale per integrare l’AI nella gestione quotidiana, attraverso una comunicazione chiara e una forte motivazione al percorso di cambiamento al fine di ridurre le resistenze interne e massimizzare l’opportunità e l’impatto dell’AI.
Betti: Come tutte le innovazioni, è fisiologico vi sia una prima fase di timore: per l’AI, da un lato si percepisce il rischio che le attuali competenze siano sostituite dalla macchina, dall’altro non è chiaro quali competenze saranno richieste e quali opportunità si renderanno disponibili grazie alla nuova tecnologia. Dal nostro punto di vista, le competenze e i profili professionali chiave per affrontare l’evoluzione dell’AI sono quelli di data scientist e machine learning engineer, che devono avere una profonda conoscenza di tecniche di machine learning (ML), data analytics e linguaggi di programmazione come Python e R; devono essere in grado di lavorare con grandi set di dati, costruire e addestrare modelli di AI. Mentre i data scientists sono essenziali per creare modelli di AI, gli ML engineer si occupano dell’integrazione e del deployment di questi modelli in infrastrutture come Red Hat OpenShift AI, che permette di gestire il ciclo di vita delle applicazioni AI su larga scala. A questi si affiancano gli esperti di DevOps, che devono ampliare le proprie competenze sui processi e strumenti di MLOps per la gestione del ciclo di vita dei modelli e delle applicazioni con l’obiettivo di automatizzare e gestire l’intero processo di sviluppo, test, tuning e deployment delle soluzioni AI, supportando ambienti ibridi o multi-cloud. L’adozione dell’intelligenza artificiale generativa richiederà anche la presenza di ethical AI specialist per comprendere a fondo come i modelli di AI interagiscono con le decisioni umane e come mitigare i rischi legati a discriminazione o uso improprio dei dati. Infine, gli sviluppatori e ingegneri del software dovranno acquisire competenze nella progettazione di sistemi basati su AI e nell’integrazione con le soluzioni aziendali esistenti. Le tecnologie open-source sono al centro di molte implementazioni AI, e strumenti di Red Hat facilitano l’adozione di soluzioni di intelligenza artificiale nelle architetture aziendali.
Ceccherini: Come ci si può aspettare, ingegneri dell’AI, sviluppatori, data scientist sono figure molto richieste, ma ci possono essere altre opportunità per entrare nel mondo del lavoro ‘moderno’. L’ascesa dell’AI sta trasformando sensibilmente il panorama delle opportunità di carriera, creando nuovi lavori che richiederanno un mix di competenze tecniche e umane. Ci sono alcuni suggerimenti per trovare un percorso professionale verso una prima, seconda, o anche terza carriera. In primo luogo, le persone offrono ai sistemi di AI i dati di cui hanno bisogno per funzionare. Ma se forniscono dati sbagliati, allora l’AI funzionerà in modo parziale. Per esempio, se nelle soluzioni a supporto dei processi di assunzione sono stati inseriti dati di parte, il sistema di AI potrebbe fare raccomandazioni discriminatorie per i colloqui. AI ed etica devono essere fortemente connessi per mitigare i rischi potenziali e garantire equità, trasparenza e rispetto per la privacy. Occuparsi di etica dell’AI vuol dire promuoverne i benefici mitigando al contempo i rischi potenziali e garantendo equità, trasparenza e rispetto per la privacy. Poi bisogna considerare che lo sviluppo e l’implementazione di progetti di AI di successo richiedono project manager qualificati. Devono comprendere i concetti fondamentali dell’AI e spesso tradurli tra utenti business e team tecnici. Anche saper gestire i diversi tipi di dati, i metodi di raccolta e le tecniche di elaborazione dei dati rappresenta una professionalità che sarà sempre più richiesta, perché l’AI ha successo solo quando i dati su cui si basa sono di elevata qualità. Infine, con l’ascesa dell’AI in tutti i settori e Paesi, ci sarà bisogno di persone che comprendano i principi di sicurezza, e governance, e le normative, tra cui come stabilire metriche, standard e pratiche di responsabilità per analizzare il comportamento di un sistema di AI.
Ariano: AI@Scale rappresenta per Schneider Electric un approccio pragmatico, che mette l’AI al servizio della sostenibilità, della decarbonizzazione, dell’efficientamento produttivo e della riduzione dei consumi, oltre che aiutare gli OEM a ridurre il time-to-market accelerando i loro processi. Come per altre tecnologie digitali è necessario che aziende manifatturiere e costruttori introducano nuove figure specializzate con competenze ICT; inoltre è importante, anche se sappiamo che è difficile, individuare persone capaci di orientare la digitalizzazione in azienda anche in ottica AI, e abbiamo competenze integrate tra IT e OT, per fare in modo che le aziende sfruttino rapidamente nelle attività quotidiane i benefici che questa tecnologia pervasiva e rivoluzionaria porterà. C’è poi il tema dell’aggiornamento del personale già presente, perché sia in grado di interagire con efficacia con gli strumenti basati su AI che gli si mette a disposizione. Pensiamo a un programmatore che utilizzi strumenti basati su GPT, ma anche agli esperti di servizi che dovranno saper personalizzare gli algoritmi che analizzano i dati provenienti dai sistemi elettrici o di produzione, in modo che supportino le specifiche esigenze del cliente. Una nostra ricerca commissionata a Omdia all’inizio di quest’anno ha evidenziato che la digitalizzazione creerà nuovi posti di lavoro e nuove figure professionali anche nell’ambito tradizionale delle tecnologie operative. Abbiamo coinvolto aziende di tutto il mondo che hanno evidenziato come priorità proprio gli investimenti per acquisire personale e competenze nell’area dei dati, ma anche nella programmazione. Sappiamo che sono difficili da trovare, in questo senso facciamo nostro il suggerimento di questa ricerca, che indica nella collaborazione di tutto l’ecosistema industriale l’unica strada per aumentare il più rapidamente possibile la disponibilità di tali competenze nel mercato del lavoro.
Rigotti: Sono necessarie figure professionali che sappiano gestire i dati. Dal data sourcing iniziale, al data management, al data value extraction. E questo, in un sistema economico e imprenditoriale come quello italiano, può essere fatto applicando una logica a doppia velocità. Il dato può essere stoccato in versione ‘calda’, basato su dati di pronto accesso, mettiamo, degli ultimi 30 giorni. E in versione fredda: archiviando tutto lo storico dei dati generati con costi di esercizio e conservazione estremamente bassi. Sono questi ultimi a costruire l’ossatura del knowledge aziendale e la linfa dell’AI. Servono professionalità che sappiano poi istruire l’AI sulla base del dato, costruendo il giusto prompt. Servono integratori e sviluppatori che sappiano costruire l’interfaccia fisica perché AI e automazione dialoghino. Come si può capire, l’AI porta con sé un indotto di professionalità di vasta portata e sono certo che, seppure assorbirà e renderà obsolete figure professionali poco specializzate, come la robotica nella sua prima fase di sviluppo, porterà a creare nuovi posti di lavoro, più qualificati e remunerati. Esattamente come hanno fatto il computer e la robotica prima di essa. E migliorerà la qualità del lavoro degli operatori. Proprio come i cobot.
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