Aging e Automation : le due ‘A’ nel futuro dei lavoratori
Il nuovo report 'Aging & Automation' di Mercer e Oliver Wyman indaga le principali trasformazioni nel mondo del lavoro nei prossimi 10 anni, tenendo conto di alcuni fattori chiave come l’invecchiamento della popolazione, l’automazione e il cambiamento delle competenze richieste dalle aziende
I lavoratori più anziani in Italia rischiano in grande misura la sostituzione professionale a causa della crescente adozione dell’automazione sul posto di lavoro, secondo il report “The Twin Threats of Aging and Automation”, realizzato da Mercer e Oliver Wyman, che analizza gli effetti della convergenza di due fenomeni. Una popolazione globale che invecchia da un lato, e l’automazione portata dall’Industria 4.0 dall’altro. La peculiarità di questa lettura sta nell’analisi del “rischio-automazione” legato all’invecchiamento della popolazione attiva, impiegata soprattutto in ruoli di routine, con conseguenze economiche e sociali per i lavoratori poco qualificati, di età compresa tra 50 e 64 anni, che in Italia stanno diventando una parte sempre più consistente della forza lavoro.
Un rischio dovuto in primo luogo alle competenze. L’automazione implica per i lavoratori la sostituzione nelle attività ripetitive e la necessità di impiegarsi in servizi a maggiore valore aggiunto.
È stato stimato (fonte report Mercer per World Economic Forum – “Future of Jobs”) che tra il 2015 e il 2020 circa 7,1 milioni di posti di lavoro scompariranno a livello globale, la maggior parte dei quali tra le funzioni amministrative, il settore manifatturiero e i processi produttivi. Di contro, solo 2 milioni di nuovi posti di lavoro saranno creati, in diverse funzioni che vanno dalle operazioni finanziarie, al management, all’ingegneria. I lavoratori in fabbrica, le attività di segreteria o di staff generico facilmente invece potrebbero essere svolte da robot e computer. Questo significa che le nazioni con un maggior numero di lavoratori anziani impiegati in attività manuali, ripetitive e non specialistiche, si troveranno ad avere il maggior numero di occupazioni automatizzabili. Proprio in questi Paesi i lavoratori anziani saranno chiamati a fare evolvere rapidamente le proprie competenze per restare all’interno del mercato del lavoro.
L’analisi, svolta a livello globale, mette in evidenza come in Europa sia l’Italia il paese più esposto al “rischio-sostituzione”, con il 58% in media di lavoratori anziani che svolgono lavori facilmente automatizzabili. Un rischio rafforzato sul piano sociale, dove assistiamo a un aumento sempre più consistente di over 50 nella forza lavoro. Si stima infatti che la fascia di lavoratori tra i 50 e i 64 anni in Italia crescerà fino a raggiungere il 38% della forza lavoro totale entro il 2030.
Cinque dei primi sei paesi di questa speciale classifica sono situati nell’estremo Oriente, con grandi mercati manifatturieri come Cina, Vietnam, Tailandia, ma anche economie sviluppate come la Corea del Sud e il Giappone, dove i lavoratori più anziani svolgono spesso lavori che richiedono competenze sproporzionatamente basse rispetto al mercato del lavoro attuale. A seguire, immediatamente dopo, troviamo l’Italia con un rischio automazione del 58% e la Germania (57%).
Queste le evidenze principali dell’ultimo report condotto da Mercer e Oliver Wyman intitolato “Aging & Automation”, che prende in considerazione 15 Paesi, tra cui l’Italia, ed analizza la popolazione attiva nelle diverse classi di età, il tipo di occupazione, oltre al rischio-automazione calcolato per ruolo a partire dalle ormai celebri ricerche di Martin Frey e Carl Osbourne (Università di Oxford). Per realizzarlo sono stati utilizzati dati provenienti da diverse fonti, tra cui dati Mercer, Oliver Wyman, World Economic Forum, Nazioni Unite, OECD.
“Gli sforzi concertati da parte di governi e aziende per elaborare strategie volte a incoraggiare e accogliere il lavoratore più anziano, saranno cruciali nei prossimi decenni” commenta Marco Valerio Morelli, aministratore delegato di Mercer Italia. “I lavoratori più anziani sono una fonte preziosa di esperienza, produttività e anche di flessibilità. Anche nei loro confronti quindi suggeriamo alle aziende di dirigere gli investimenti mano a mano che la tecnologia spinge le aziende a evolvere. Con questo report auspichiamo di avviare una conversazione sui rischi che i lavoratori più anziani affrontano in questa epoca di automazione e, soprattutto, su come superarli. Dal nostro punto di vista la parola chiave che aziende e istituzioni devono tenere al centro delle loro considerazioni è: ‘competenze’”.
“La popolazione over 50 è passata dal 17% a più del 30% del totale globale dagli anni ’70 a oggi” spiega Giovanni Viani, responsabile del Sud-Est Europa di Oliver Wyman. “In parallelo le nuove tecnologie stanno cambiando in maniera radicale la domanda di lavoro, mettendo in crisi in particolare la fascia più anziana e a minor educazione. Per evitare squilibri profondi nella società e nella produzione di reddito e mantenere una sostenibilità complessiva dei sistemi previdenziali sono necessarie politiche molto lungimiranti in termini di valorizzazione delle classi più anziane, formazione continua lungo tutta la carriera professionale, allargamento della platea dei lavoratori giovani, soluzioni di “tutorship generazionale” finalizzate a valorizzare il contributo dei più anziani nell’accelerazione dell’inserimento professionale dei più giovani”.
Al contrario delle precedenti rivoluzioni industriali, nelle quali la produttività è cresciuta mentre i requisiti di competenze sono rimasti simili tra le differenti tipologie di lavori a bassa specializzazione, la Quarta Rivoluzione Industriale richiede ai lavoratori con meno competenze una forte discontinuità. Attualmente solo il 10% dei lavoratori tra i 55 e i 65 anni sono in grado di completare nuovi compiti complessi che prevedono l’uso di tecnologia. Mentre la percentuale sale a 42 punti per gli adulti tra i 25 e i 54.
Lo sviluppo senza precedenti della capacità computazionali, dell’uso dei dati e la sofisticazione crescente di algoritmi per l’auto-apprendimento hanno portato la tecnologia a un’evoluzione significativa che non solo ha un impatto sui diversi settori industriali, ma rivoluzionerà il concetto stesso di lavoro. Machine learning, intelligenza artificiale e robotica sono solo alcune delle varie tecnologie che stanno emergendo oggi, molte di esse sono ancora in fase di sviluppo ma si diffonderanno globalmente entro il 2030.
Man mano che l’utilizzo di queste tecnologie si espanderà, il loro impatto sui lavori ripetitivi e a bassa specializzazione aumenterà. In particolare, Mercer prevede tre cambiamenti fondamentali: il concetto stesso di lavoro si legherà sempre più a compiti e attività che possono evolvere nel tempo, piuttosto che a ‘routine’ e ripetitività; in secondo luogo aumenterà l’importanza di competenze collegate alla tecnologia e cross-funzione, in terzo luogo aumenterà la complessità del lavoro umano.
“La diffusione dell’automazione in definitiva richiederà agli esseri umani e alle competenze umane di svolgere un ruolo ancora più importante nelle organizzazioni che stanno diventando digitali. Il report sottolinea che quello che in passato era considerato ‘premium’ ora sarà considerato ‘standard’, un fenomeno che spingerà necessariamente i lavoratori a passare da lavori semplici o ripetitivi a servizi a valore aggiunto” spiega Morelli.
“Mentre oggi assistiamo a una corsa all’adozione di tecnologie intelligenti da parte delle imprese, è importante evidenziare la potenziale ricaduta di questa sostituzione dell’automazione ad alcuni ruoli, in particolar modo sui lavoratori più anziani, con impatti sulla disoccupazione, l’allargamento delle disuguaglianze e a un maggiore sforzo dei sistemi di welfare nazionali. Lanciamo quindi un monito al sistema Paese e alle aziende perché non trascurino di focalizzare il ruolo dei lavoratori più anziani, integrando nelle strategie digitali più ampie anche la necessità di formazione per queste categorie di collaboratori, perché l’automazione non si traduca nell’uscita forzata dal mercato del lavoro di coorti di dipendenti” conclude Morelli.
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