La ‘netiquette’ dello smart working

Pubblicato il 10 aprile 2020
Una netiquette condivisa con i dipendenti per rendere lo smart working davvero “smart”. Se ne è fatta promotrice SIT, azienda metalmeccanica di Padova quotata in Borsa nel segmento MTA che ha adottato lo smart working per 275 dipendenti sia nella sede centrale, sia nei plant sin dai primi giorni dell’emergenza Coronavirus. Forte di un progetto pilota effettuato a settembre 2019 su un gruppo di 60 dipendenti, SIT è riuscita ad estendere in poche ore la modalità di lavoro smart a tutti i dipendenti per i quali essa è possibile.
“Il progetto pilota parte dalla convinzione che si può innovare il modo di lavorare anche in un settore produttivo considerato tradizionale, come il metalmeccanico” spiega Roberta Fagotto, Chief of Human Capital di SIT “un’esigenza che sentiamo anche per essere competitivi nella talent aquisition e che si basa su due concetti: fiducia e lavoro per task. Il secondo obiettivo che ci siamo dati è quello di sviluppare una cultura di responsabilità e di condivisione, anche quando il lavoro viene svolto al di fuori dell’azienda. Abbiamo agito per fasi: prima un assessment sulle competenze digitali delle nostre persone, poi l’avvio del progetto pilota e in contemporanea l’offerta di formazione mirata a dare ai colleghi tutti gli strumenti utili per questo tipo di metodologia di lavoro. Lo smart working infatti risponde a logiche diverse da quelle a cui siamo abituati in ufficio o in azienda, va ripensato tout-court l’approccio alle mansioni ed il mindset con cui si svolgono le attività”.
Nella “prevenzione digitale” fatta da SIT è stato distribuito il 30% di laptop in più (completi di connessione wi-fi e accesso rete aziendale in tutta sicurezza tramite VPN) e il 55% di smartphone in più, mentre il sistema di video-conference professionale era già in uso da parte dei dipendenti. In più, SIT ha fornito una lista di “buone regole” per salvaguardare le proprie persone dal rischio di overworking e stress causato dall’uso di troppe piattaforme di comunicazione: “Sapevamo che lo smart working aumenta la produttività” sottolinea Fagotto “ma essendo il lavoro l’unico aspetto delle nostre vite che non era cambiato ed una delle poche forme di socializzazione durante la quarantena, il rischio era quello di lavorare molte più ore di quelle consentite. Tra le regole, abbiamo indicato la necessità di prendersi delle pause, di effettuare una pausa pranzo “vera” e disconnessa, di utilizzare i mezzi di comunicazione professionali quali email e video conference cercando di escluderne altri per evitare di sentirsi bombardati dalla tecnologia”.



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