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giugno 2015

Lei ha parlato di segnali di ripresa

dell’occupazione giovanile. La rifor-

ma del mercato del lavoro ha cercato

di scardinarne dinamiche ancestrali

estremamente rigide: come giudica il

JobsAct approvato dal Governo?

“Positivo, anche se non definitivo. La

positività del JobsAct la individuo nel-

la possibilità che viene offerta al futuro

lavoratore di entrare in contatto con

opportunità di lavoro, e quindi di met-

tersi in gioco per essere convincente

per un’assunzione futura. Il contratto

a tutela crescente va benissimo: qual è

quell’imprenditore che manda via una

persona valida? Non esiste neppure il

problema dell’articolo 18, perché se un

imprenditore ha un valido collabora-

tore farà di tutto per tenerlo accanto

a sè. Il vero problema era l’atteggia-

mento di chi era assunto in un’azienda,

si sentiva assicurato per tutta la vita e

non partecipava alla sua crescita. Ades-

so il paradigma cambia: come l’impren-

ditore rischia nell’impresa anche il lavo-

ratore deve abituarsi a dare il proprio

contributo propositivo. Oggi, con la

concorrenza globale, ognuno deve da-

re il suo contributo”.

Lei ha parlato di giovani talenti che ri-

schiamo di perdere. Ma la formazione

dei giovani e il loro ingresso in azien-

da è uno dei vostri grossi problemi…

“Certamente i giovani che escono dal-

la scuola non sono pienamente for-

mati per entrare operativamente in

azienda e, d’altra parte, per un’azien-

da formare un giovane rappresenta un

costo elevato. Per evitare che molte

imprese guardino ad altri Paesi, dove

non tanto il costo del lavoro ma il co-

sto del sistema è più conveniente, oc-

corre riformare il percorso educativo

in Italia, magari rivedendo le regole

sulla formazione. In particolare, a mio

avviso, andrebbe migliorato quello

strumento molto utile sia alle aziende

sia ai giovani che è lo stage, renden-

dolo più flessibile e magari abolendo

il limite temporale oggi imposto di 12

mesi dalla laurea”.

L’Italia punti sull’innovazione

Nel contesto di mercato ormai globalizzato, secondo Gianfranco Zoppas l’Italia

deve puntare sulle sue eccellenze: la creatività e l’innovazione. Solo così è possibile

ridare slancio alla nostra economia, evitando lo scontro perdente sulla produzione a

contenuto tecnologico coi Paesi con un costo del lavoro decisamente più basso.

Dottor Zoppas, come è cambiata nei decenni la nostra

classe imprenditoriale?

“In Italia abbiamo dovuto fare i conti con condizioni che non ci hanno permesso di

crescere in fretta come altri Paesi. Mentre in altre aree del mondo abbiamo assistito

in passato a un’esplosione economica, l’Italia è stata bloccata nella morsa di una

burocrazia mastodontica, costi e tassazione elevata, una rigidità strutturale del

sistema. Anche se va riconosciuto che ci stiamo muovendo per risolvere questo

problema endemico, oggi conviene ancora produrre fuori dall’Italia. Ci sono ancora

troppi lacci e laccioli che spesso hanno reso, e rendono, quasi impossibile fare

impresa. Le faccio un esempio: per aprire un capannone, in Italia ci impiego anche

anni mentre in Austria in sei giorni di fa tutto. E le parlo di un capannone, che serve

banalmente a ospitare quelle macchine che generano lavoro per i dipendenti.

Bisogna concentrarsi per facilitare quelle opportunità di creare lavoro ma anche

di stimolare interessi da parte degli investitori esteri. Attualmente, invece, per un

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troppo complicato. In questo contesto, l’imprenditore italiano che continua a credere

e investire nel proprio Paese andrebbe supportato e sostenuto per il suo coraggio”.

E cosa serve per ridare slancio al nostro Paese?

“Dobbiamo concentrarci su ciò che sappiamo fare bene: focalizzarci su una

produzione che abbia il valore aggiunto dell’innovazione. Quello che ha reso

grande in passato il nostro Paese è stata l’inventiva, dovuta spesso all’intuizione