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APRILE 2012
materia prima e consuma meno energia (spesso ha anche la
possibilità di sfruttare maggiori margini di vendita presentando
il bene come ‘ecologico’), chi lo consuma si dovrebbe
avvantaggiare della possibilità di riciclarlo (potremmo dire
rivenderlo) a fine vita. E c’è di più. Con l’attuale continua
erosione del potere di acquisto degli stipendi e l’inesorabile
aumento dei costi di mantenimento dei beni nel tempo, se
il consumatore potesse ridurre l’incertezza sul costo totale
(TCO, Total Costo f Owership) di ciò che acquista, sarebbe
anche disposto a spendere inizialmente di più” ha osservato il
professore. “Si pensi al caso delle automobili ibride o elettriche.
Dal punto di vista di questo studio non sono ‘verdi’ perché
inquinano meno, bensì soprattutto perché riducono l’incertezza
sui costi, quelli legati ai carburanti fossili, che aumentano
sempre più facendo lievitare anche le spese di chi utilizza
l’auto ‘tradizionale’. Il mercato dei veicoli GPL, per esempio,
ha continuato a crescere nonostante la forte battuta d’arresto
vissuta dall’automotive nel complesso, come si è dimostrata
un successo l’iniziativa di quella casa automobilistica che, a
fronte di un costo mensile definito, assicura la sostituzione
delle batterie del veicolo elettrico per vent’anni”. Allinearsi al
concetto di green economy implica però una ‘rivoluzione’ nel
modo stesso in cui viene concepito un acquisto: non si tratta
più di ‘consumare’ un prodotto, che a fine vita è esausto e viene
gettato via (creando un rifiuto, quindi inquinando e creando
spreco, in quanto i materiali impiegati per realizzarlo vanno
persi), secondo il più ortodosso principio del consumismo,
bensì di ‘utilizzare’ un bene, i cui elementi non vengono del
tutto esauriti nell’impiego, ma possono essere recuperati per
dare vita a nuovi beni ‘green’. “Questi beni sono meno costosi: il
produttore risparmia sulla materia prima necessaria a realizzarli,
l’utente risparmia per esempio grazie al reso, secondo la
‘vecchia’ idea del ‘vuoto a rendere’, che in passato spingeva la
gente a riportare le bottiglie di vetro ai punti vendita. Oggi siamo
sintonizzati sul ‘vuoto a perdere’, che però rappresenta un costo;
rendere l’imballo può tramutarsi in vantaggio nel momento in
cui ci permette di condividere i guadagni derivanti dal risparmio
effettuato dal costruttore sulla materia prima” ha esemplificato
Cirrincione. Se poi si guarda la cosa in prospettiva, il beneficio
è certo: riciclare il ‘vuoto’ significa sganciarsi dalle fluttuazioni
del mercato delle materie prime, il cui costo è destinato a
impennarsi anche come conseguenza delle politiche di alcuni
Paesi emergenti, Cina in primis, che si stanno ‘accaparrando’
le risorse, per esempio, dell’Africa: mettersi al riparo da questi
aumenti ‘obbligati’ rappresenta un sicuro vantaggio per i
produttori. “Tutto questo comporta per le aziende, ab origine,
la necessità di investire sia sul fronte della distribuzione e della
supply chain, per attivare circuiti di recupero della merce a fine
ciclo e per sensibilizzare il pubblico alla restituzione del bene,
sia sul fronte della produzione, dove i processi devono essere
re-ingegnerizzati in un’ottica di riciclo, a livello sia del materiale
utilizzato, sia della tipologia della lavorazione, con un evidente
sforzo d’innovazione” ha ribadito Cirrincione. “Questo a volte
scoraggia gli imprenditori, che, però, stando a quanto emerge
dalla nostra ricerca, molto spesso non hanno le idee chiare
sugli eventuali processi green disponibili, sulle tecnologie e
sui materiali che si possono impiegare, quindi nemmeno sugli
effettivi costi”. Ecco dunque, ancora una volta, tornare il tema
della divulgazione e formazione.
SUPERIAMO IL ‘GRAY’
Per passare da un’economia ‘gray’,
potremmo dire del ‘rifiuto’, a una green, ossia del riciclo, occorre
cambiare filosofia, pensare a processi non più di tipo lineare,
dove a fine vita il prodotto viene gettato via, bensì di tipo
circolare, cioè ragionando per cicli di vita del bene e innescando
un circolo virtuoso ‘risparmioso’, come necessario in una
realtà che dovrebbe ‘sprecare’ sempre meno, data la crescente
carenza di risorse. Se prima vivevamo il ‘tempo della cicala’,
convinti che le risorse comuni fossero abbondanti e inesauribili
(e dove se anche si inquinava l’aria, non si pagava nulla), oggi
dobbiamo diventare ‘formiche’, puntando sulla ricerca e lo
sviluppo di soluzioni ecosostenibili. “Possiamo dire che la green
economy sia ‘brain intensive’, ad alto contenuto di tecnologia
e innovazione, da qui, ancora, l’importanza di formare i propri
addetti e investire sul capitale intellettuale aziendale quei
proventi che verranno ammortizzati nel tempo con il risparmio
dato dal bene green”. Del resto, l’84% delle aziende intervistate
per la ricerca di SDA Bocconi ha dichiarato di vedere il green
non solo come elemento promozionale ‘di facciata’, bensì
come aspetto chiave nello sviluppo di nuovi prodotti; gli
imprenditori sanno altresì che il prodotto verde non deve
essere più costoso del corrispondente gray (il 55% dei
consumatori, d’altra parte, si è dichiarato non disposto a
pagare di più per un prodotto green), a parità di qualità.
Mancano però conoscenze e know-how interno per far
partire progetti green nelle imprese. I consumatori, da
parte loro, rivelano di avere difficoltà nel riconoscere
un prodotto come green, di dubitare spesso della
sua effettiva diversità rispetto ai beni ‘tradizionali’
e di non associare l’idea di green al risparmio.
Risulta dunque essenziale fare cultura, divulgare
la conoscenza a livello di un pubblico di massa.
“Concludendo, tre suggerimenti: le aziende
devono lavorare alla realizzazione di prodotti
green in quanto capaci di fornire loro un
risparmio, possibilmenteda condividere con i
clienti secondo la logica del vuoto a rendere.
Occorre altresì investire in comunicazione,
per divulgare i vantaggi portati dai beni
green e dalla green economy, nonché
fare chiarezza sulle certificazioni relative
al green e dare garanzie al pubblico
sui costi di mantenimento del bene;
infine, è importante impegnarsi nello
stringere rapporti con la distribuzione
per attivare il circuito del recupero e
rendere i beni greenmaggiormente
visibili sugli ‘scaffali’” ha concluso
Cirrincione.
SDA Bocconi-School
of Management
La presentazione
della ricerca sulla
‘Green economy’
si è tenuta presso
la sede di SDA
Bocconi-School
of Management
di verde
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Fonte: www.piercemattiepublicrelation.com