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Automazione e Strumentazione

Gennaio/Febbraio 2017

EDITORIALE

primo piano

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alla Quarta Rivoluzione Industriale è tracciata:

con l’apposito Piano Nazionale 2017-2020 si sono delineati gli obiettivi e le direttrici

strategiche di intervento, suddivise in direttrici chiave e di accompagnamento. Tra

le prime, alla voce Competenze si evidenzia l’importanza degli aspetti formativi

condensandola in quattro punti: diffondere la cultura I4.0 attraverso Scuola Digitale

e Alternanza Scuola Lavoro; sviluppare le competenze I4.0 attraverso percorsi

Universitari e Istituti Tecnici Superiori dedicati; finanziare la ricerca I4.0 potenziando

i Cluster e i dottorati; creare Competence Center e Digital Innovation Hub. Ci sarà

tempo e modo di seguirne lo sviluppo e verificarne la concreta attuazione. Giova però

subito soffermarsi sulla questione di fondo sottesa a questa voce ‘competenze’.

Che la formazione sia un aspetto cruciale di tutti i programmi di cambiamento è

abbastanza evidente: in fondo ogni rivoluzione è questione di uomini e il suo esito, nel

bene o nel male, più che dai grandi proclami dipende essenzialmente dai soggetti che

ne sono protagonisti. La rivoluzione di Industria 4.0 non sfuggirà a questa legge. Allora,

che tipo di lavoratori ci vorranno? Che tipo di tecnici? Di ingegneri? Di manager?

Una serie di competenze specialistiche sono legate alle tecnologie abilitanti che

costituiranno l’ossatura dell’Industria 4.0. Quindi ci vorranno ingegneri in grado di

padroneggiare l’Intelligenza Artificiale, il Machine Learning, l’Analisi dei Big Data;

tecnici che sappiano interagire con i Robot Collaborativi, con gli strumenti della

Realtà Virtuale e della Realtà Aumentata, con la diffusione dell’IoT; operatori capaci

di utilizzare al meglio il Cloud e sensibili al tema della Cyber-Security.

Tutto questo però non basta per delineare i profili professionali adatti ad

affrontare le sfide del cambiamento. Da qualche tempo economisti e sociologi

segnalano delle tendenze che l’Industria 4.0 farà esplodere e che il mondo della

scuola non può più ignorare.

Ci vorranno sempre più competenze trasversali, attitudini polivalenti e flessibilità

per seguire l’evoluzione dei processi e dei mercati. Una caratteristica essenziale,

a tutti i livelli lavorativi, è identificata dalla parola collaborazione: l’industria del

futuro abbandonerà le architetture gerarchiche per organizzarsi secondo strutture

agili e collaborative, in grado di sfruttare al meglio le potenzialità offerte dalla

digitalizzazione e dalla connettività. E non sarà solo questione di strutture. Nel

nuovo scenario produttivo, la collaboratività e la corresponsabilità saranno delle

priorità in tutti i profili professionali; più in generale, diventeranno fondamentali le

capacità ‘relazionali’ e l’abilità nello svolgere attività interattive. A ciò si aggiungerà

l’importanza crescente - come segnalano i recenti studi di David H. Autor,

economista del MIT - delle attività ‘non routinarie’, quelle che non potranno essere

delegate alle macchine, neppure a quelle più sofisticate.

Tutto ciò porta alla ribalta l’importanza dei cosiddetti non-cognitive skill, cioè quegli

aspetti del carattere e della personalità di ciascuno spesso indicati come i Big Five:

estroversione, amicalità, coscienziosità, stabilità emotiva, apertura mentale. È facile

prevedere che diventeranno decisivi nell’affrontare il lavoro del futuro, così come

sono determinanti già oggi per l’acquisizione anche dei cognitive skill, cioè di quelli

che solitamente vengono elencati nella stesura di un profilo professionale.

Sapranno le nostre scuole e università raccogliere queste esigenze e rispondere

adeguatamente?

La via italiana

Gli attori dell’Industria 4.0

visti… di profilo

Comitato Scientifico di ‘Automazione

e strumentazione’

Mario Gargantini