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AO

MAGGIO 2017 AUTOMAZION

E OGGI 398

164

AVVOCATO

lmobbingèuna delleproblematichedimag-

giore impatto nel mondo del lavoro. Tale fe-

nomeno vede coinvolti moltissimi lavoratori,

tuttavia, non sempre è facile riconoscere,

inquadrare e far fronte nella maniera più ido-

nea a tale situazione.

A tale proposito, è importante capire cosa

si debba intendere per mobbing e, quindi,

come e quando è possibile agire per tutelarsi

e cosa il lavoratore deve fare nel concreto.

Come ribadito più volte dalla Corte di Cas-

sazione, “costituisce mobbing la condotta

del datore di lavoro, sistematica e protratta

nel tempo, tenuta nei confronti del lavora-

tore nell’ambiente di lavoro, che si risolva,

sul piano oggettivo, in sistematici e reiterati

abusi, idonei a configurare il cosiddetto ter-

rorismopsicologico, e si caratterizzi, sul piano

soggettivo, con la coscienza e intenzione del

datore di lavoro di arrecare danni - di vario

tipo ed entità - al dipendente medesimo”

(Cass. Sent. n. 158 del 8 gennaio 2016).

Ebbene, chi dovesse essere vittimadi tali con-

dotte ha diritto di agire per chiedere il risar-

cimento dei danni subiti al datore di lavoro.

Tuttavia, spetta al lavoratore provare in con-

creto l’esistenza del mobbing, tale prova è

articolata e tutt’altro che semplice da fornire

ingiudizio. Con la sentenza n° 158dell’ 8gen-

naio 2016, la Corte di Cassazione ha ribadito

che incombe sul lavoratore l’onere di provare

la sussistenza di una condotta mobbizzante

attuata dal datore di lavoro sottolineando

come sia indispensabile la “…prova di una

esplicita volontà del datore di lavoro di emar-

I

La prova del mobbing

ginare il dipendente in vista di una sua espulsione dal contesto lavorativo o, comunque, di un

intento persecutorio” al fine di portare il lavoratore stesso al progressivo isolamento e conse-

quenzialmente alle dimissioni.

Vediamo dunque quali sono gli elementi che devono tassativamente sussistere ed essere pro-

vati per dimostrare il mobbing.

È stata la Suprema Corte con sentenza n° 10037 del 15 maggio 2015 a individuare nella pre-

senza contestuale di sette parametri la conditio sine qua non affinché si possa ritenere che

sussista la condotta mobbizzante. Tali parametri, che devono ricorrere tassativamente tutti

e sette ed essere pedissequamente provati, sono: “l’ambiente, la durata, la frequenza, il tipo

di azioni ostili, il dislivello tra gli antagonisti, l’andamento secondo fasi successive, l’intento

persecutorio”. Alla luce dell’orientamento giurisprudenziale, dunque, le condotte vessatorie

devono avvenire sul luogo di lavoro e durare per un periodo di tempo abbastanza rilevante;

devono essere reiterate nel tempo e molteplici; devono consistere in comportamenti ostili,

quali ad esempio demansionamento o dequalificazione professionale, aggressioni personali

psico-fisiche, pressioni psicologiche (minacce, ritorsioni), comportamenti che mirino progres-

sivamente a isolare il lavoratore nell’ambiente di lavoro o a rendergli la permanenza sul luogo

di lavoro insostenibile per esempio attraverso la fornitura di strumenti di lavoro non idonei o

sottoponendo il lavoratore a orari di lavoro stressanti e insostenibili. Inoltre, il lavoratore deve

trovarsi in una posizione di inferiorità nei confronti di chi attua tali condotte (ossia il datore di

lavoro); le vessazioni devono procedere per fasi successive: inizio delle condottemobbizzanti,

il perpetrarsi delle stesse, i primi sintomi psicosomatici, l’insorgere della malattia, il progres-

sivo aggravamentodelle condizioni di salute, fino all’isolamento e all’esclusione del lavoratore

dall’ambiente lavorativo.

Elemento indispensabile alla base di tali condotte è l’intento persecutorio del datore di lavoro

volto a provocarne l’emarginazione e conseguenzialmente le dimissioni volontarie.

Al finedi agire ingiudizioper ottenereun risarcimento sarànecessario, dunque, che sussistano

tassativamente questi 7 parametri e in particolare si dovrà fornire la prova delle ‘azioni ostili’,

ossia di tutti quei comportamenti che il lavoratore è costretto regolarmente a subire, nonché

la prova del danno alla salute dagli stessi cagionato.

È pertanto indispensabile che, qualora un soggetto si renda conto di essere vittima di tali con-

dotte, inizi a raccogliere e a conservare qualsivoglia prova che potrà essere fornita successiva-

mente in giudizio per dimostrare l’esistenza del mobbing. A tale proposito saranno rilevanti,

per esempio, lettere, sms o mail di minaccia o in cui si ravvisino le condizioni sopra elencati,

testimonianze di colleghi e quant’altro possa dimostrare le condotte sopra elencate.

Infine sarà indispensabile provare il danno alla salute subito attraverso la certificazione della

malattia e dimostrare il nesso causale tra la stessa e le condotte vessatorie subite sul luogo

di lavoro. In proposito infatti si è espressa la Corte di Cassazione Sezione lavoro, la quale con

sentenzan° 13693del 3 luglio2015ha ribadito che “Incombe al lavoratore che lamenti di avere

subito, a causa dell’attività lavorativa svolta, un danno alla salute, l’onere di allegare e provare

l’esistenza di tale danno, come pure la nocività dell’ambiente di lavoro, nonché il nesso tra

l’uno e l’altro e solo se il lavoratore abbia fornito la dimostrazionedi tali circostanze sussisteper

il datore di lavoro l’onere di provare di avere adottato tutte le cautele necessarie a impedire il

verificarsi del danno e che la malattia del dipendente non è ricollegabile alla inosservanza di

tali obblighi”.

ALP – Assistenza Legale Premium

Cominotto @cri625

Cristiano Cominotto, Silvia Colamaria