‘Digitale e industria: il futuro è adesso’: questo il titolo dell’edizione 2022 di Forum Software Industriale, ultima tappa del percorso di eventi proposti quest’anno da Anie Automazione, qui nello specifico presente con il Gruppo Software Industriale, e Messe Frankfurt Italia dopo quelli sulla meccatronica e sulla visione.
Al Talent Garden Calabiana di Milano si sono così riunite, il 30 novembre, le aziende che progettano, sviluppano e distribuiscono soluzioni software per l’industria, realtà specializzate nella fornitura di soluzioni per la sicurezza dei sistemi, fornitori di tecnologie OT e integratori di sistemi. Al centro del dibattito il digitale: “Dobbiamo incominciare, o meglio avremmo già dovuto farlo tempo fa, il percorso verso la digitalizzazione, in quanto essa è alla base dei processi di trasformazione dell’industria italiana, oltre che per conseguire gli obiettivi di sostenibilità e competitività del made in Italy” ha sottolineato in apertura del convegno Donald Wich, AD di Messe Frankfurt Italia. “Si tratta di processi che richiedono risorse e il governo ha infatti proposte alcune forme di supporto; poi è fondamentale la formazione, per avere le competenze e le risorse necessarie a realizzare i progetti sul lungo termine. Tutti questi temi verranno ripresi in occasione della prossima SPS Italia 2023, in programma a maggio, e durante le 5 tappe di avvicinamento previste che si svolgeranno in giro per l’Italia, da gennaio ad aprile”.
Un cambio di paradigma
L’Italia è la seconda industria manifatturiera a livello europeo dopo la Germania, saldamente sul podio come non è mai avvenuto prima: primo punto positivo messo in evidenza da Fabio Massimo Marchetti, vice presidente di Anie Automazione e presidente del Gruppo Software Industriale, durante la sua presentazione. “L’export ha superato la soglia dei 500 miliardi di euro, merito di un sistema produttivo molto diversificato, fatto di realtà flessibili e reattive, elemento caratterizzante del tessuto imprenditoriale italiano rispetto ad altre economie europee, che hanno dimostrato profonda resilienza in risposta già alla pandemia. Siamo reduci da sei trimestri consecutivi di crescita; abbiamo eguagliato e oltrepassato i risultati del 2019. Il contesto però è estremamente complesso. Ci sono i noti problemi legati al costo dell’energia, che stanno drenando risorse che si sarebbero potute destinare ad altro; vi è ancora una forte carenza di materie prime e componenti elettronici; restano le difficoltà connesse alle catene di fornitura. I dati ci dicono che la situazione resterà tale per tutto il 2023, con conseguenti elevati costi di logistica e trasporto.
Arriviamo però da un periodo talmente positivo, per cui il calo degli ordinativi, che pure risulta, non verrà avvertito grazie all’elevato backlog, per cui ci vorrà tutto il 2023 per smaltire gli ordini arretrati, già in casa. Certo rimane la problematica sul lungo termine.
“Mediamente le aziende hanno usato gli incentivi finora per risolvere problematiche immediate, senza una vera strategia. Ora questo paradigma deve devolvere. L’Europa stessa lo ha sottolineato nel gennaio 2021, lanciando il concetto di industria 5.0, che amplia il paradigma 4.0, basato sulla centralità della tecnologia e dei dati, includendo persone e ambiente, in un’ottica di azienda umano-centrica e sostenibile”.
Tornando all’Italia, Marchetti ha evidenziato che “secondo i dati relativi al piano Transizione 4.0, tutte le risorse messe in campo sono state ampiamente utilizzate, anche oltre il preventivato, ma soprattutto collegate a beni strumentali e materiale, mentre per i beni immateriali le richieste sono state ben al di sotto delle aspettative. Ora gli incentivi dovrebbero andare in questa direzione e rimanere interessanti ancora per il 2023”.
In questo scenario, “le aziende devono porre i principi ESG, di sostenibilità, al centro dei loro percorso di business, insieme alle persone, per far evolvere il paradigma 4.0 in 5.0. Si potranno così ridurre le emissioni, e quindi l’impatto delle aziende sull’ecosistema, almeno del 55%. Non lo chiede solo il mercato, ma le stesse PMI. Di queste, sia quelle che hanno un brand forte da ‘difendere’ sul mercato, sia le molte che non vendono direttamente il loro prodotto, ma fanno parte di filiere estese, hanno necessità di dimostrarsi sostenibili. Per salvaguardare la propria reputazione e immagine verso i clienti, infatti, i maggiori brand pongono la sostenibilità come criterio dominante di selezione per chi intende entrare nelle loro catene di subfornitura. Quindi per le PMI che fanno parte di queste filiere la sostenibilità è un elemento di sopravvivenza necessario. Anche il settore finanziario, del resto, sta lavorando su questi concetti, perché le aziende sostenibili hanno elementi di solidità maggiori e sono quindi meno rischiose per gli investitori. In questo contesto, le tecnologie 4.0 sono abilitatori di sostenibilità: la digitalizzazione aumenta l’efficienza e l’efficacia dei processi, che diventano quindi maggiormente sostenibili. Digitalizzare vuol dire dunque fare sostenibilità, così come per essere sostenibili occorre digitalizzare” ha concluso Marchetti.
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Tutto il potenziale dei dati
Il keynote speach di Giovanni Miragliotta, professore associato e senior director degli Osservatori Digital Innovation della School of Management del Politecnico di Milano, ha infine riguardato il mondo dei dati: come è possibile utilizzare il digitale per rendere le aziende italiane più competitive?
“Gli incentivi sono stati pienamente sfruttati, ma i risultati sono stati meno entusiasmanti se si guarda ai beni immateriali. Significa che ancora molto resta da fare su questo fronte. Il Piano Calenda, elaborato nel 2016-2017, ha posto i dati al centro ma questi sono stati utilizzati principalmente per ottimizzare la produzione riducendo gli scarti o trovando sprechi sui quali intervenire per efficientare. Poi si è passati a un utilizzo più complesso, fino ad arrivare alla riprogettazione dei processi e dei prodotti. Questo percorso porterà però le aziende, alla fine, a una equiparazione delle prestazioni. Chi infatti non intraprende questo percorso, è destinato a uscire dal mercato, mentre chi lo percorre, alla fine si troverà allo stesso livello degli altri; sul lungo periodo tutto si appiattisce e le aziende saranno meno ‘riconoscibili’, a meno che non imparino a impiegare la digitalizzazione anche per distinguersi sul mercato”. Conclude quindi Miragliotta: “La digitalizzazione non deve essere usata soltanto per migliorare (exploitation), ma soprattutto per innovare (exploration), solo così si può costruire sul digitale un divario rispetto alle altre aziende e creare nuovi fattori di competitività sul lungo periodo. La chiave sta, ancora una volta, nel dato, che è la vera fonte dell’innovazione”.