AES_8 2022

Automazione e Strumentazione n Novembre - Dicembre 2022 Primo piano 9 EDITORIALE Per l’industria, un futuro di filiera corta Giornalista, responsabile della rivista Automazione e Strumentazione Jacopo Di Blasio Per un insieme di concause locali e soprattutto globali , che comprendono pandemia, guerra e questioni geopolitiche irrisolte da tempo, appare ormai chiaro che ci troviamo in una condizione in cui l’industria è tanto meno resiliente quanto più si basi su una filiera lunga, che esponga la catena di fornitura a una serie di vulnerabilità difficili da prevedere, ma che spesso hanno una gravità proporzionale alla distanza coperta dalla catena logistica. La lista dei beni e delle materie prime che hanno presentato una difficoltà di reperibilità tale da diventare un serio problema per le filiere industriali continua ad allungarsi, culminando con gli effetti parossistici sulle materie prime energetiche. Per rimanere solo agli ultimi anni, si è partiti dalle terre rare, che sono state il fulcro di una leva che ha permesso alla Cina di esercitare una politica estremamente efficace di egemonia industriale, passando per i semiconduttori, il cui mercato è appannaggio di pochi Paesi asiatici, come Taiwan e Corea del Sud, che sono soggetti a fortissime e pericolose pressioni militari, fino ad arrivare alla competizione per l’approvvigionamento del litio, dove si potrebbe assistere a una resa dei conti globale per la sopravvivenza dell’industria automotive. Una delle crisi di filiera più recenti ha investito l’industria chimica e farmaceutica europea, per l’approvvigionamento di prodotti intermedi e principi attivi provenienti dall’Asia, soprattutto da India e Cina. Ma anche l’industria meccanica, caposaldo dell’economia manifatturiera nel nostro Paese, ha sperimentato delle difficoltà specifiche di quella filiera, per esempio per il blocco di parti a minore valore aggiunto, ma essenziali per la produzione, provenienti dall’Asia. La crisi energetica, cominciata ben prima della guerra in Ucraina e alimentata dalla competizione sulle fonti energetiche più appetibili da un punto di vista economico e geopolitico, ha moltiplicato le vulnerabilità preesistenti e successive. L’instabilità del costo dell’energia, oltre a colpire in modo diretto le attività di trasformazione industriale, ha contribuito a evidenziare i limiti dei modelli macroeconomici che presupponevano un’incidenza trascurabile dei costi di trasporto. Nella maggior parte dei casi, la reazione del settore industriale è stata quella di provare ad accorciare la filiera produttiva, ma la risposta non può essere affidata all’iniziativa delle singole imprese e deve partire dalle istituzioni nazionali e sovranazionali. Con molta probabilità non sarà la fine della globalizzazione ma una sua evoluzione, con un passaggio a un’interdipendenza di prossimità, con rapporti più stretti tra Paesi che sperimentano vicinanza non solo geografica ma anche sociale e politica. Le prime istituzioni chiamate in causa sono, necessariamente, quelle europee e lo sforzo per l’indipendenza nell’ambito dei semiconduttori, il ‘Chips Act’ prodotto di recente dalla Commissione Europea, è solo un buon inizio, con cifre rilevanti che però sono ancora frazioni di quelle stanziate da singoli stati asiatici. Un reale salto di qualità sarebbe una politica energetica condivisa a livello europeo, almeno negli obiettivi, che sarebbe la vera precondizione di una politica industriale comune.

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