Ao_408

la produzione nazionale copre, infatti, tutti i settori di quest’estesa industria. La chimica base rappresenta circa il 43% della produzione complessiva, quella fine e specialistica che fornisce agli altri settori industriali beni intermedi il 42%, mentre la fabbricazione di prodotti di largo consumo, come detergenti, co- smetici, pitture e vernici, il 15%. Que- sta pluralità contribuisce fortemente al bilancio delle esportazioni nazionali: la chimica è il secondo settore con la più elevata incidenza d’imprese esportatrici (56%) e l’anno scorso ha registrato un incremento del 10,3% rispetto al 2016. Secondo Ferderchimica, i mercati di destinazione più importanti rimangono quelli tradizionali dell’Europa Occiden- tale (Germania, Francia, Spagna, Regno Unito) e gli USA. Tra i paesi emergenti Polonia e Turchia importano la quota più elevata (3,4%), seguita da Cina (2,6%), Russia (2,0%) e Romania (1,9%). Biso- gna comunque sottolineare che l’an- damento positivo della domanda, non è sinonimo di condizioni uniformi sul mercato: lo shortage, i forti rincari su alcune materie prime e la politica am- bientale sono la causa di tensioni lungo le filiere. Guardando a quest’anno, alla luce dei dati già raccolti sulla domanda e sui prezzi delle materie prime, l’attività dell’industria chimica italiana proseguirà il suo cammino all’insegna del rialzo. L’Europa soffre, ma mantiene la propria posizione Secondo uno studio di Frost & Sullivan l’industria chimica ha assistito a signi- ficativi cambiamenti nei modelli della domanda in tutte le aree geografiche. In particolare le realtà europee, che do- minavano l’industria fino al 2000, hanno dovuto chiudere diversi impianti di steam cracker, con una conseguente ri- duzione del volume di produzione delle materie prime. La situazione si è poi ulteriormente aggravata dal crescente utilizzo delle materie prime alternative a basso costo (come lo shale gas statuni- tense). L’industria chimica europea può però ancora vantare dei primati rispetto ai mercati emergenti quali Cina, India e Medio Oriente. Essa si fonda su una forte storia di cul- tura industriale e aziende consolidate nel tempo: 9 tra le prime 20 società chi- miche mondiali sono nate, e continuano a essere, europee. Parliamo di Basf, LyondellBasell Ind., Ineos, Linde Group, Air Liquide, Total, Shell, Akzo Nobel, Johnson Matthey. Queste, insieme alle numerose realtà cresciute nel corso dei decenni, sono responsabili del 15% della produzione mondiale, per un mercato che vale 519 miliardi di euro (6% del fatturato mondiale) e impiega circa 12 milioni di addetti diretti (oltre 4 milioni se consideriamo anche l’occupazione attivata indirettamente.) Guardando in avanti, le previsioni del 2018 sembrano positive: secondo i dati raccolti da Cefic nei primi mesi di quest’anno, si è registrata una crescita del 2,6% rispetto allo stesso periodo del 2017. L’andamento positivo potrebbe però risentire di due fattori: da un lato della forte concorrenza e il dominio sul mercato della Cina e dei Paesi Nafta, dall’altro della fuga d’investimenti che si susseguono a causa degli elevati costi energetici, dei prezzi delle materie prime e degli oneri connessi all’EU Emission Trading System in tema di emissioni. Spazio alla chimica ‘Made in China’ Analizzando i dati forniti da Federchi- mica relativi al 2016, la produzione com- plessiva del comparto è stata di 3.360 miliardi di euro dei quali 1.394 miliardi made in Cina. Seconda in termini di pro- duzione l’Europa (597 miliardi), seguita dai Paesi Nafta, Usa, Canada e Messico, (528 miliardi), dall’Asia (344 miliardi) e, infine, dal Giappone (140 miliardi). Nel suo complesso l’industria chimica mon- diale è molto dinamica: dagli anni 2000 a oggi il volume produttivo è cresciuto del 39% e, nel 2017, ha realizzato un valore di circa 3.500 miliardi di euro. Nello stesso periodo, mentre il volume della produzione cinese triplicava fino a raggiungere quasi il 41% della pro- duzione mondiale, quello realizzato in Europa passava dal 28% al 15%, quello degli Stati Uniti dal 21% al 14%. I paesi emergenti, che dieci anni fa rappresen- tavano meno di un terzo del valore della produzione chimica mondiale, rivestono oggi una quota maggioritaria, pari al 59%. Gli analisti di Frost & Sullivan con- fermano, infatti, che la maggior parte dei produttori di sostanze chimiche ha investito in paesi asiatici chiave come, appunto, la Cina, l’India, il Giappone e Singapore creando hub d’innovazione e impianti di produzione. Industry 4.0 per un miglior throughtput È evidente che negli ultimi anni le in- dustrie del settore chimico e petrol- chimico hanno subito la pressione del cambiamento: la forte competitività e la richiesta di un time-to-market sempre più veloce hanno portato a ripensare le procedure in cerca di un maggiore effi- cientamento. Anche in questo settore, quindi, dove la materia e i processi sono fortemente fisici e sembrerebbe esserci poco spazio per l’IoT, l’Industry 4.0 sta fungendo da centro nevralgico offrendo un supporto end-to-end e dallo sviluppo del pro- dotto, alla produzione, all’imballaggio, alla gestione dell’inventario, fino al mar- SETTEMBRE 2018 AUTOMAZIONE OGGI 408 37

RkJQdWJsaXNoZXIy MTg0NzE=