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L’intelligenza artificiale è ormai la vip invitata a tutte le feste. Anche Assofermet ha realizzato un convegno molto interessante sull’AI in cui, oltre ad aver parlato della situazione istituzionale, geopolitica e industriale, i relatori si sono messi in gioco raccontando e spiegando le loro esperienze. Particolare è stato l’intervento di Pietro Orciuolo, head of ESG Technologies di Tinexta Cyber (www.tinextacyber.com), che ha stuzzicato parecchio la platea, iniziando con l’affermare che l’intelligenza artificiale non è per nulla intelligente, ma è solo un supporto alla nostra intelligenza. E qui nulla di strano, dovremmo averlo già capito tutti. Ma quello che non ci siamo forse mai chiesti è cosa succede quando l’intelligenza artificiale viene utilizzata da qualcuno di non intelligente, insomma, da un ignorante: un problema che nessuno considera, perché forse tutti pensano che chi utilizza la tecnologia debba per forza essere intelligente. E invece… se gli input che vengono dati all’AI sono input sbagliati, i risultati saranno solo pessimi. Ecco, forse le notizie che fanno sempre scalpore e incutono il classico terrore della perdita dei posti di lavoro nascono proprio da chi non è, come sostiene Orciuolo, ‘intelligente’ perché non sa utilizzare nel modo corretto la tecnologia. Cosa fare allora per provare a noi stessi di non essere ‘non intelligenti’? Secondo Orciuolo c’è un rimedio. Innanzitutto dobbiamo pensare che l’AI non è una panacea, un rimedio a tutto, anzi, per ora è solo un ingrediente, e anche bello grosso, con il quale dobbiamo provare a giocare. Sediamoci quindi di fronte al computer, scarichiamo ChatGPT nella versione gratuita e iniziamo ad usarlo facendogli delle domande. Se le risposte che ci dà sono mediocri è solo perché le domande che abbiamo fatto sono misere. C’è però una modalità secondo Orciuolo che serve per uscire dall’impasse: dobbiamo cercare di affrontare l’intelligenza artificiale, come se fosse una persona che abbiamo appena conosciuto e che invitiamo a cena o con la quale cerchiamo amabilmente di comunicare per la prima volta. Non dobbiamo pensare di dar per scontato nulla, altrimenti si potrebbe compromettere il rapporto: quindi si deve parlare, ragionare, pensare a cosa dire e soprattutto a come dirlo, mettere attenzione a quello che si desidera e a quello che si chiede. Non è semplice e soprattutto non è immediato, e ci vuole comunque del tempo per poter costruire un rapporto anche con l’AI. Diceva bene Abramo Lincoln “Dammi sei ore per abbattere un albero e passerò le prime quattro ad affilare l’ascia”. Ecco, il prompt engineering, quindi il processo di strutturazione dell’istruzione che deve essere interpretata e compresa dall’AI, funziona esattamente così. Per avere una risposta di 5 righe, ma una risposta intelligente, che ci cambia veramente la giornata, e che corrisponde al lavoro di 50 persone, dobbiamo lavorarci per almeno 1 ora e continuare ad affinarla fino ad arrivare alla soluzione richiesta. È impensabile quindi chiedere all’AI di scrivere un’email o fare una semplice revisione di testi: ci sono altri strumenti per farlo. Ovviamente più l’intelligenza artificiale ha un ordine semantico, valido, concreto, più la risposta sarà efficace e ci permetterà di lavorare su molto altro, infatti, come sostiene Orciuolo, l’intelligenza artificiale presa come velocizzatore non porta affatto via posti di lavoro, anzi aumenta il business, ci dà tempo, quello che prima si faceva in 4 ore, ora lo si fa in 30 secondi, si possono curare meglio le relazioni, aiutare i colleghi, fare telefonate, viaggiare per lavoro…. Quindi abbracciare, a prescindere, questa rivoluzione è solo un bene. Siamo a un punto di non ritorno e solo di miglioramento. Un miglioramento che però prevede anche e soprattutto uno studio continuo perché, come sostiene Orciuolo, se l’ignoranza è portatrice sempre e solo di cattivi auspici, scelte e direzioni, così come si è sempre verificato nella storia dell’umanità, l’AI, che è un velocizzatore, ci può portare ancora più velocemente nel baratro dell’ignoranza.

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