Transizione 4.0 è il nome che ha sostituito nel 2020 quello di Industria 4.0, ma non è solo un cambio di etichetta. Sono cambiate infatti le modalità che permettono di usufruire del beneficio fiscale per le imprese che effettuano investimenti in beni 4.0 e che oggi passano sostanzialmente attraverso la formula del credito d’imposta da portare in compensazione.
E proprio alla Transizione 4.0 sono destinate la maggior parte delle risorse messa a disposizione con la prima missione del Piano nazionale di ripresa e resilienza, ovvero 13,5 miliardi di euro sui circa 50 miliardi complessivi per investimenti che permettano di compiere progressi reali nel percorso di digitalizzazione del paese.
Il governo, nel presentare il piano, ha fornito anche le stime del numero di aziende che potrebbero beneficiare dei crediti d’imposta finanziati con il piano: almeno 91 mila imprese fino al 2022 e di queste 68.400 effettueranno investimenti agevolati in beni strumentali 4.0 (1/3 circa in hardware e 2/3 in software), 20.600 finanzieranno investimenti in ricerca, innovazione e design e una parte residuale di 2.000 imprese in attività di formazione 4.0.
Lo schema delle aliquote è piuttosto articolato e tende a favorire chi effettua investimenti già nel 2021 piuttosto che nel 2022. Per esempio il credito di imposta per beni strumentali materiali è del 50% nel 2021 ma scende al 40% nel 2022. Anche per i beni strumentali tradizionali (quelli finanziati a deficit e non con le risorse del Pnrr perché hanno impatti potenzialmente negativi sull’ambiente) l’aliquota nel 2021 è del 10% e si abbassa al 6% nel 2022.
È stata bloccata in extremis la proposta di cessione dei crediti 4.0, che a parere della Ragioneria di Stato non avrebbe avuto sufficiente copertura finanziaria. La misura avrebbe dato un ulteriore impulso agli investimenti dal momento che il credito d’imposta sarebbe stato subito esigibile per esempio cedendo il credito a una banca, piuttosto che procedere con la compensazione in un anno o in tre anni, a seconda dell’ammontare dell’investimento. A tal proposito è stato però alzato il tetto degli investimenti, da 5 a 10 milioni di euro, entro cui il credito di imposta può essere portato in compensazione in un’unica quota annuale, ma anche questo vale solo per il 2021. Motivo in più per investire nell’anno in corso.
Contratti di sviluppo per filiere produttive
Il Pnrr destina inoltre 750 milioni di euro per le filiere produttive che dovrebbero attivare 1,5 miliardi di investimenti privati. Stando alle prime indicazioni dovrebbero essere finanziati 45 progetti di sviluppo, ognuno dei quali dovrebbe contare su 15-16 milioni di risorse pubbliche e più del doppio per investimenti da parte di privati. La platea di imprese coinvolte in questo caso sarebbe più ampia: circa 390 mila per 12 filiere strategiche, dall’automotive al turismo, dalla biofarmaceutica all’economia green della transizione energetica.
Per esempio tra i piani Ipcei (important projects of europen common interest) che ha riscosso molto interesse da parte dei privati c’è quello sulle batterie. In cantiere anche progetti su cloud, microelettronica, idrogeno, salute, materie prime e cybersecurity. Una parte dei contratti di sviluppo sarà gestita da Invitalia, in particolare quelli che mirano a favorire l’industrializzazione dei risultati di ricerca. I progetti legati al recovery plan andranno ultimati dopo tre anni dalla concessione delle agevolazioni ed entro il 2026: questo significa che per definire le procedure dei contratti di sviluppo ci sono poco più di due anni a disposizione.
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