Da quando, durante gli anni ’60, vennero diffusi i robot industriali a sei assi, si sono verificati notevoli cambiamenti sia nella tecnologia di fabbricazione dei robot, sia nel modo in cui li utilizziamo. Quel settore che una volta era considerato ad alto rischio, con i robot relegati a operare in celle e gabbie dietro zone ad accesso vietato, si è ora trasformato in un settore in cui i robot possono lavorare in collaborazione con gli operatori umani.
I progressi che hanno interessato tecnologia dei motori, attuazione, ingranaggi, sensori di prossimità e intelligenza artificiale hanno determinato l’avvento di vari robot, tra cui i Cobot, caratterizzati da una portabilità tale da consentirne il montaggio sul bancone, oltre ai robot mobili autonomi (AMR) in grado di spostarsi liberamente nello stabilimento. Questi sistemi non solo riescono a gestire notevoli carichi utili dal peso di centinaia di chili ma sono anche caratterizzati da una sensibilità sufficiente da percepire la presenza di una persona distante da pochi millimetri ad alcuni metri. Il robot può quindi rispondere in meno di un millisecondo agli stimoli, come, ad esempio, una persona che si avvicina per guidare la mano del robot, modificando automaticamente il proprio sistema di limitazione di forza e potenza per rispondere in modo adeguato.
Mentre i robot a sei assi e i Cobot sono alimentati soprattutto attraverso la rete elettrica, i robot di servizio AMR stanno diventando sempre più popolari in svariati settori quali manifattura industriale, immagazzinaggio, sanità e anche accoglienza turistica. In questi contesti, possono operare 24 ore al giorno per 7 giorni alla settimana, interrompendo l’attività solo per caricarsi e per essere sottoposti alle riparazioni essenziali e alla manutenzione da un tecnico. Nel settore immagazzinaggio, ad esempio, il processo di prelievo e imballaggio può richiedere una notevole quantità di lavoro manuale, con gli operatori che devono spostarsi frequentemente lungo i corridoi per prelevare dallo scaffale i prodotti destinati all’evasione di ciascun ordine. Si tratta di un processo inefficiente e dispendioso in termini di tempo che rallenta l’evasione dell”ordine del cliente. In questa situazione si può usare un compatto robot mobile autonomo che prelevi lo scaffale per trasferirlo verso l’operatore, applicando il principio “merce verso uomo”. Tuttavia, questo ciclo d’uso impegnativo pone una domanda: le batterie che alimentano questi robot sono state sufficientemente adattate al nuovo ambiente? Per rispondere, dobbiamo capire quali tipi di batterie si utilizzano.
I più popolari tipi di batterie secondarie ricaricabili sono due: sigillate al piombo-acido (SLA) e agli ioni di litio. La tecnologia al piombo-acido, in uso da circa 160 anni, è in grado di offrire un’elevata corrente di picco a causa della bassa impedenza. Tuttavia le batterie di questo tipo possono essere ingombranti e pesanti, quindi poco pratiche per macchine di piccole dimensioni. In alternativa, la batteria agli ioni di litio fornisce la massima densità e offre il massimo rapporto tra energia e peso rispetto a qualsiasi altra composizione chimica, consentendo agli ingegneri progettisti di utilizzarla nei dispositivi più compatti. Inoltre mantiene un voltaggio stabile per tutto il suo ciclo di scarica, garantendo efficienza e tempi di funzionamento prolungati.
Nella scelta dei sistemi robotici per le proprie applicazioni, i tecnici devono associare al carico il tipo di batteria corretto. Dal momento che iniziamo ad affidarci progressivamente a fabbriche intelligenti con un elevato livello di automazione portatile e mobile, sarà di vitale importanza prendere in considerazione il fabbisogno energetico di ciascun dispositivo affinché offra tempi di funzionamento lunghi con alta efficienza.
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