Secondo un nuovo studio di Oracle NetSuite, gli italiani si sentono sopraffatti dalla quantità di dati a loro disposizione, quando devono prendere decisioni cruciali al lavoro. Questa indagine – che ha coinvolto un campione di 2.000 persone da Regno Unito, Francia, Germania, Italia, Spagna, Benelux, paesi nordici e Medio Oriente – ha evidenziato che le persone, nonostante ritengano di avere a disposizione i dati per svolgere con successo il loro lavoro, si sentono sopraffatte dalla mole di informazioni disponibili; e alcuni stanno pensando di affidarsi a robot o a computer per semplificare il processo decisionale nei prossimi 12 mesi.
Nonostante ritengano di avere tutti i dati necessari per lavorare, quasi tutti i dipendenti italiani che hanno preso parte all’indagine si sentono sopraffatti dalla quantità di informazioni disponibili, quando si devono prendere decisioni cruciali. L’indagine ha inoltre evidenziato che: il 90% dei dipendenti italiani ritiene di avere i dati necessari per svolgere il proprio lavoro, ma solamente il 6% dichiara di non essersi mai sentito sopraffatto dalla quantità di dati a propria disposizione; il 64% dei dipendenti dichiara che non sempre i dati a cui ha accesso sono significativi, percentuale che sale fino al 78% in Francia e al 76% tra le persone che lavorano nella supply chain e nel procurement; il 37% degli interpellati in Italia afferma di avere a disposizione i dati, ma di non poterli analizzare in maniera adeguata e ritiene che questo problema rappresenti una seria minaccia per la propria azienda. Questa percentuale raggiunge il 59% nel Regno Unito.
Si sta diffondendo sempre di più un approccio alle decisioni basato “sull’intuito”, e questo sta avendo impatto negativo sui profitti e anche su quanto le persone si sentono connesse alle strategie e alla loro azienda. In particolare, l’indagine ha rilevato che: solo il 34% dei dipendenti italiani ritiene che, negli ultimi 12 mesi, la propria organizzazione si stia affidando di più ai dati, mentre il 27% afferma di dipendere maggiormente dalle proprie intuizioni, quando si devono prendere decisioni aziendali cruciali; solo il 33% dei dipendenti ritiene che la propria organizzazione sia fortemente basata sui dati, quando si tratta di sviluppare una strategia organizzativa; le organizzazioni che sviluppano strategie senza tenere conto dei dati avranno delle brutte sorprese, infatti in media, queste organizzazioni hanno avuto quasi il doppio delle probabilità (41%) di disattendere le aspettative di crescita nell’ultimo anno, rispetto alle altre (22%); le organizzazioni che hanno dichiarato di non tenere conto dei dati si aspettano quest’anno una minor crescita dei ricavi (43%) rispetto alla media (54%) e hanno il 22% di probabilità in meno di avere le idee chiare sulla direzione che il loro business sta prendendo; solo il 57% dei dipendenti che lavorano in organizzazioni che non tengono conto dei dati ritiene che le proprie decisioni abbiano un impatto sulla crescita aziendale, rispetto alla media, che è l’80%.
Il lavoro da remoto ha aumentato lo stress e la complessità legati al processo decisionale e le persone stanno pensando sempre di più di affidarsi a macchine o “robot” per aiutarsi. Secondo i risultati di questa indagine: il tempo (54%), i potenziali danni alla reputazione personale (53%) e la disponibilità di informazioni (51%) sono i fattori principali che influiscono sulla capacità dei dipendenti di prendere decisioni efficaci; le decisioni importanti sul lavoro continuano a preoccupare i dipendenti, tanto che il 70% si sente maggiormente sotto pressione quando si tratta di prendere decisioni cruciali per il lavoro, di quando si tratta di farlo per la propria famiglia; il 50% dei dipendenti italiani ha affermato che il lavoro da remoto, rendendo più difficili le interazioni con i manager, ha avuto un impatto negativo sul processo decisionale (questa percentuale sale al 65% nel Regno Unito); il 60% dei dipendenti si aspetta di affidarsi a macchine o robot per prendere decisioni cruciali nei prossimi 12 mesi. Questa percentuale sale al 72% in Germania e all’81% tra coloro che lavorano nelle start up.