La seconda metà del 2014 e l’inizio di questo 2015 sono stati caratterizzati da due fenomeni i cui effetti congiunti rappresentano una novità assoluta per lo scenario manifatturiero europeo. Il primo è l’apprezzamento del dollaro sull’euro, passato da un tasso di cambio di 1,35 (luglio 2014) a 1,18 (gennaio 2015). Un aggiustamento di oltre il 10% che porta il tasso di cambio al valore di cinque anni fa e che ha come diretta conseguenza quella di rendere più competitivi i prezzi relativi dei prodotti dell’area euro, favorendo l’export.
Di solito il rovescio di questa medaglia era un aumento del costo delle importazioni delle merci quotate in dollari, primo su tutti il petrolio, andando ad incidere significativamente sui costi sostenuti dalle aziende. Ma stavolta le cose sono andate diversamente perché, nella stessa finestra temporale, si è verificato un vero e proprio crollo del prezzo del petrolio, che ha più che bilanciato l’aumento di valore del dollaro.
Ma andiamo con ordine: dopo la crisi tra il 2008 e il 2009, la dinamica del prezzo del greggio ha assunto una direttrice a senso unico: in salita costante fino a sfondare quota 100 dollari al barile, per poi rimanere su questi livelli in maniera stabile fino all’estate 2014. Nella seconda metà del 2014 il trend si è invertito con una brusca frenata verso fine anno. A inizio di gennaio 2015 il prezzo del greggio risulta dimezzato rispetto ai valori di giugno 2014, portandosi (non sappiamo per quanto tempo) a circa 50 dollari al barile.
Quali sono le conseguenze di questi due fenomeni? Iniziamo dagli aspetti negativi. Un prezzo così basso, non bilanciato dall’apprezzamento del dollaro, rende meno remunerativa la produzione di energia dal petrolio, frenando di fatto l’installazione di nuove attività estrattive e la ricerca di nuovi giacimenti (l’impatto sull’indotto è facilmente immaginabile). Un secondo aspetto negativo riguarda gli investimenti nelle energie alternative: un prezzo basso del petrolio rende meno urgente l’esigenza di mettere a punto strategie di efficientamento energetico – uno dei driver dell’automazione degli ultimi anni – e di sviluppare tecnologie per lo sfruttamento di fonti energetiche alternative. Insomma, per chi opera nell’Oil & Gas e nel settore energetico il bicchiere è decisamente mezzo vuoto.
Ma questa medaglia ha anche un lato molto positivo: le piccole e medie aziende costruttrici di macchine destinate all’export possono recuperare parecchi punti in termini di competitività internazionale grazie a una bolletta energetica (soprattutto per le aziende particolarmente energivore) destinata a diminuire sensibilmente e alla spinta della moneta. A questo va aggiunto un possibile rafforzamento della domanda interna, sempre legato alla minore spesa energetica. Insomma, per le imprese italiane si apre uno scenario nuovo nel quale non mancheranno le opportunità.