Il mercato dell’intelligenza artificiale è agli albori in Italia, con una spesa per lo sviluppo di algoritmi di intelligenza artificiale di appena 85 milioni di euro nel 2018, ma dalle grandi prospettive; al mercato dei progetti vanno affiancati infatti gli assistenti vocali intelligenti (appena introdotti eppure già capaci di generare nel 2018 un mercato di 60 milioni di euro, e che in futuro potranno veicolare nuovi servizi e applicazioni), nonché i robot autonomi e collaborativi usati in ambito industriale, il cui mercato valeva nel 2017 già oltre 145 milioni di euro.
Attualmente solo il 12% delle imprese ha portato a regime almeno un progetto di intelligenza artificiale, mentre quasi 1 su 2 non si è ancora mossa ma sta per farlo (l’8% è in fase di implementazione, il 31% ha in corso dei progetti pilota, il 21% ha stanziato del budget). Tra chi ha già realizzato un progetto, ben il 68% è soddisfatto dei risultati e le più diffuse sono quelle di virtual assistant/chatbot. Le imprese italiane però hanno una visione ancora confusa delle opportunità della AI (Artificial Intelligence): la maggioranza, il 58%, la associa a una tecnologia capace di replicare completamente la mente umana (un concetto che ha poco a che fare con i risvolti pratici della disciplina), il 35% a tecniche come il machine learning, il 31% ai soli assistenti virtuali, mentre solo il 14% ha compreso che l’AI mira a replicare specifiche capacità tipiche dell’essere umano (la visione prevalente nella comunità scientifica).
Rimangono molti gli interrogativi sull’impatto della AI sul lavoro: se da un lato il 33% delle aziende intervistate dichiara di aver dovuto assumere nuove figure professionali qualificate per realizzare soluzioni di AI, dall’altro il 27% ha dovuto ricollocare personale dopo l’introduzione di una soluzione di AI. L’indagine puntuale sul bilancio occupazionale in Italia rivela come l’AI sia da considerarsi più come un’opportunità che una minaccia: 3,6 milioni di posti di lavoro equivalenti potranno essere sostituiti nei prossimi 15 anni dalle macchine, ma nello stesso periodo a causa della riduzione dell’offerta di lavoro (principalmente per questioni demografiche, ipotizzando continuità sui saldi migratori) e l’incremento di domanda si stima un deficit di circa 4,7 milioni di posti di lavoro nel Paese, da cui emerge un disavanzo positivo di circa 1,1 milioni di posti. In questo scenario (peraltro globalmente diffuso) di progressiva riduzione della forza lavoro, l’AI appare non solo come una opportunità, ma come una necessità per mantenere gli attuali livelli di benessere economico e sociale, riducendo i costi assistenziali necessari a mantenere gli standard di vita, creando nuovi lavori a maggiore valore, per avvicinarsi all’1,5% di tasso medio annuo di crescita della produttività che sarebbe necessario, nei prossimi 15 anni, per mantenere invariato l’attuale equilibrio socioeconomico del sistema assistenziale-previdenziale del nostro Paese.
Sono alcuni risultati della ricerca dell’Osservatorio Artificial Intelligence della School of Management del Politecnico di Milano, presentata al convegno “Artificial Intelligence: on your marks!”. “La ricerca evidenzia un mercato dinamico ma ancora agli albori, caratterizzato da una scarsa consapevolezza da parte delle imprese delle opportunità dell’AI” affermano Nicola Gatti, Giovanni Miragliotta e Alessandro Piva, Direttori dell’Osservatorio Artificial Intelligence. “Tutti gli attori del mercato devono prendere posto ai blocchi di partenza per una trasformazione di cui non si conoscono ancora appieno le regole e la durata, ma di cui si comprendono già l’enorme portata e le implicazioni”.
La consapevolezza delle imprese
Il 58% delle imprese del campione associa l’AI all’emulazione della mente umana, un terzo (35%) a un gruppo di tecniche come, il machine learning, solo il 14% al lo sviluppo di sistemi dotati di capacità tipiche dell’essere umano. Poco meno di un terzo (32%) associa in modo esplicito l’AI a uno dei suoi principali campi di applicazione, dimostrando una conoscenza circoscritta del fenomeno. Tra questi, la maggioranza identifica con AI il concetto di assistenti virtuali (31%), poi la capacità di formulazione (12%) e comprensione (9%) del testo, le auto a guida autonoma (9%) e l’estrazione di informazioni dalle immagini (8%). Infine, solo il 7% ha colto che l’AI è un bersaglio mobile, ovvero come evolva il concetto di ‘intelligenza’ ogniqualvolta vengano conseguiti dei successi dalla comunità scientifica in un ambito specifico.
Eppure, il 48% delle imprese pensa di conoscere in modo adeguato l’AI, il 47% in modo superficiale, e solo il 5% dichiara un livello di conoscenza nullo. Le modalità con cui sono entrate a conoscenza delle possibilità dell’AI sono infatti le più disparate: passaparola con colleghi (32%), testimonianze di altre aziende (29%), networking (28%), richieste dal mercato di riferimento (22%) e risalto mediatico (21%). “Tra le imprese italiane prevale perlopiù una visione dell’AI ancora influenzata dai media” osserva Piva “dove prevale una pioggia di stimoli tipico delle fasi di hype che caratterizzano i nuovi trend innovativi, e non una visione informata e consapevole delle potenzialità e del percorso che trasferisce la ricerca in applicazioni”.
Le soluzioni in Italia
L’AI è una sfida in cui in Italia ancora pochi si sono già cimentati: solo il 12% delle aziende intervistate ha un progetto a regime, l’8% è in fase di implementazione, mentre il 31% ha in corso dei progetti pilota e il 21% ha invece stanziato del budget per concretizzare un’idea progettuale. Il 19% ha un interesse futuro, non ancora concreto, e il 9% non ha alcun interesse.
A seconda del livello di diffusione e d’introduzione prevista raggiunti, è possibile identificare come ‘emergenti’, con buona diffusione attuale ed ulteriore adozione futura prevista, le soluzioni di language processing, demand forecast, predictive maintenance, image processing, fraud detection, recommendation e infine virtual assistant/chatbot, che spicca in entrambe le dimensioni. Sono ‘mature’, buona diffusione, ma con un’adozione prevista inferiore, le soluzioni di intelligent RPA e pattern discovery. Sono ancora ‘incognite’ le soluzioni di churn prediction, dynamic pricing, autonomous robot, intelligent object, content design e autonomous vehicle.
Tra chi ha già in corso progetti di AI, il 50% delle aziende ha come obiettivo prefissato il miglioramento dell’efficienza dei processi, ovvero la riduzione dei costi, il 37% l’aumento dei ricavi ed il 13% lo sviluppo di soluzioni per un supporto decisionale. Solo il 4% dei progetti non ha raggiunto gli obiettivi, mentre il 68% dichiara che le iniziative hanno raggiunto l’esito sperato e, di queste, la metà lo definisce ‘di grande successo’ o ‘disruptive’. Il rimanente 28% non è invece ancora in grado di dare un giudizio.
“Questi risultati suggeriscono che l’AI non sia solamente una bolla, ma un’opportunità reale per le aziende” rileva Piva. “Intraprendere un percorso di adozione di soluzioni di intelligenza artificiale, però, è un processo complesso: nelle fasi iniziali, la realizzazione del business case è l’attività più critica, per difficoltà nel valutare i requisiti e il rapporto costi-benefici. Mentre nelle fasi finali è impegnativa la necessaria attività di change management, seguita dall’attività di release & deployment del progetto”.
Lo scenario estero
Anche a livello internazionale, intelligent data processing e virtual assistant/chatbot sono le soluzioni più diffuse, mentre il settore più attivo è il Finance. Dalla rilevazione dell’Osservatorio a livello internazionale sono emersi 618 casi di applicazione dell’AI nel mondo, tra cui spiccano per diffusione progetti di intelligent data processing (34%) e virtual assistant/chatbot (22%), mentre i meno diffusi sono image processing (11%), recommendation (9%), language processing (8%), autonomous vehicle (7%), autonomous robot (6%) e intelligent object (3%). Rispetto allo scorso anno emerge un maggiore interesse verso le soluzioni di language processing che beneficiano del miglioramento delle performance di interpretazione del linguaggio naturale. Per livello di maturità, gli ambiti più consolidati sono intelligent object (con il 47% di progetti a regime o in implementazione), virtual assistant/chatbot (44%) e intelligent data processing (41%), i meno maturi autonomous vehicle e autonomous robot, rispettivamente con l’89% e l’88% delle iniziative in fase di idea progettuale o pilota.
Il comparto più attivo è il Banking con il 24% di applicazioni, seguito da Energy, Resources & Utility (13%), Automotive (10%) e Retail (9%). “Con percentuali inferiori si trova un gran numero di altri settori, a testimonianza dell’alta pervasività dell’innovazione portata dall’Artificial Intelligence, che ben si adatta a qualsiasi contesto” afferma Gatti. Proprio perché l’AI si sta preparando a generare un grande impatto sulla società, sono molti i Paesi che hanno già sviluppato o stanno sviluppando dei programmi nazionali finalizzati a competere con successo in questo mercato, tra cui Francia e Germania. Anche nelle aree in cui la tecnologia sia matura, rimane però aperto il problema di coordinare e gestire lo sviluppo di un progetto di AI a causa della sua complessità.
L’impatto dell’AI sul lavoro
Il 33% delle aziende intervistate ha avuto necessità di assumere nuove figure professionali per implementare soluzioni di AI, mentre un ulteriore 39% lo ha fatto senza modifiche di organico. Al tempo stesso, il 27% ha avuto la necessità di ricollocare del personale a seguito dell’introduzione di una soluzione di AI, un dato questo che conferma gli interrogativi su quali siano i volumi di ricollocamento sostenibili da parte delle imprese e, più in generale, del sistema Paese. Per questo motivo, l’Osservatorio ha indagato in dettaglio quale potrebbe essere il bilancio occupazionale in Italia, combinando dati da fonti e ricerche pubbliche con quelli direttamente rilevati di adozione delle imprese. La popolazione attiva in Italia oggi è di 23,3 milioni di lavoratori (Istat), di fronte a 12,3 milioni di pensionati, con circa 300.000 posti di lavoro che non trovano adeguata offerta e un tasso medio di disoccupazione di poco inferiore al 11%. Nei prossimi 15 anni si passerà a circa 21,9 milioni di lavoratori e 14,5 milioni di pensionati, con un saldo netto di -1,4 milioni di lavoratori e un peggioramento dell’indice di dipendenza dall’attuale 56% ad oltre il 70%. Il saldo demografico, a pari livello di popolazione attiva occupata, infatti, porterà nel giro di 15 anni a perdere circa 2,9 milioni di lavoratori, oltre il 10% dell’attuale forza lavoro, parzialmente attenuato da 1,5 milioni di nuovi occupati recuperabili dal saldo migratorio; i pensionati potrebbero aumentare di quasi 2 milioni di unità. Nel contempo si può stimare un incremento della domanda di lavoro di circa 3,3 milioni di posti di lavoro equivalenti, soprattutto per l’aumento dei consumi e delle aspettative di qualità della vita e il maggior carico assistenziale per una popolazione progressivamente invecchiata. Nei prossimi 15 anni si potrebbe quindi generare un disavanzo di 4,7 milioni di posti di lavoro equivalenti.
Estrapolando i dati di automazione potenziale delle attività svolte nelle varie categorie di professioni e incrociando questi dati con la distribuzione della popolazione lavorativa e con la diffusione di applicazioni di AI nelle imprese italiane, si può stimare che nello stesso periodo l’equivalente di 3,6 milioni di persone potrà essere automatizzato: un dato che ribilancia il gap atteso tra domanda e offerta, e lascia comunque un disavanzo di 1,1 milioni di posti di lavoro da colmare con una riduzione del tasso di disoccupazione, riconversione e formazione della forza lavoro. Anche considerando l’impatto sull’equilibrio del sistema previdenziale dell’automazione, bisogna prima considerare che, nell’ipotesi di mantenere l’attuale sistema, il numero di contributori attivi dovrà aumentare di 4,2 milioni di persone equivalenti nei prossimi 15 anni: un numero velleitario alla luce della diminuzione della quota di popolazione in età lavorativa.
“In questo scenario, il potenziale recupero di produttività promesso dall’AI, e più in generale dalla nuova automazione, non è da vedere come una minaccia, ma anzi una necessità, prima ancora che un’opportunità, se si vogliono mantenere gli attuali livelli di benessere economico e sociale” spiega Giovanni Miragliotta, Direttore dell’Osservatorio Artificial Intelligence. “Va però trovato un nuovo equilibrio complessivo. Nei prossimi anni sarà necessario pensare ad una revisione del sistema contributivo, considerando che il lavoro non sarà più la principale fonte di creazione della ricchezza. E sarà necessario rivedere i sistemi di misura della ricchezza, arrivando forse a includere nuove grandezze come l’esistenza di meccanismi di formazione permanente, di protezione e sicurezza sociale, nonché ‘la circolarità’ dell’economia”.
Le start-up
Le start-up operanti nel mercato dell’intelligenza artificiale hanno raccolto 6 miliardi di dollari dal 2013 a oggi, con un finanziamento medio in crescita nell’ultimo anno da 8,8 a 13,1 milioni di dollari. L’Osservatorio ha individuato 572 start-up innovative a livello internazionale che abbiano ricevuto finanziamenti negli ultimi tre anni, suddivise in tre macro-categorie per tipologia di offerta: Enabling Technology (1 miliardo di dollari), System (1,5 miliardi di dollari), e Application (3,5 miliardi di dollari). Tra tutti i comparti sono quelle operanti nell’Healthcare ad aver raccolto la maggior quota di finanziamenti, oltre i 400 milioni di dollari (33%), seguite dal Finance con 315 milioni di dollari (25%). Dal punto di vista delle soluzioni offerte, dominano quelle di Intelligent Data Processing con oltre 800 milioni di dollari raccolti (65%). Sono però le start-up che sviluppano soluzioni fisiche, come nel caso degli Autonomous Vehicle, a prendersi la scena in termini di finanziamento medio, con un valore di 36 milioni di dollari.