Anno 2022: i dati sono la più grande risorsa per le aziende, o il “nuovo petrolio”, per dirla come Clive Humby, data scientist e matematico inglese, che aveva coniato questa definizione nell’ormai lontano 2006. Sono passati oltre 15 anni che nell’ambito della tecnologia corrispondono a una (o due) ere geologiche. L’innovazione corre veloce e oggi i dati, opportunamente raccolti, analizzati e catalogati, offrono informazioni che possono diventare strategiche per il business, in qualsiasi settore merceologico. Anche, e soprattutto, nella finanza.
L’utilizzo dei dati come “strumento” del business è connaturato in Opyn, sin dalla sua fondazione. In particolare, fin dal 2015 e dai primi esperimenti di P2P lending, Opyn utilizzava i dati alternativi per valutare la solvibilità delle Pmi richiedenti credito. Dati come la presenza e l’identificazione sul web, i commenti sui social, le notizie di stampa online, che ci hanno sempre consentito di avere un’idea affidabile del merito di credito dell’imprenditore che si rivolgeva a noi per un prestito. Raccolta, analisi e catalogazione dei dati – che sono un mare magnum – sono resi possibili dalla tecnologia, segnatamente da algoritmi di intelligenza artificiale e machine learning. Il lungo biennio del Covid ha reso evidente per tutti quanto questo approccio sia corretto e spesso necessario.
I dati sono ciò che consente alle aziende di qualsiasi settore merceologico di strutturare offerte personalizzate, piani di marketing ad hoc per cluster di consumatori, di correggere in corsa errori importanti.
Vale anche nel settore della finanza. Banche e altre istituzioni finanziarie stanno sempre più usando i dati (in questo l’open banking ha dato un boost significativo) per tagliare addosso al singolo cliente, o a un cluster di clienti, l’offerta di prodotti e servizi. Una strategia che tipicamente aumenta i ricavi e contribuisce a fidelizzare i consumatori.
I dati svolgono, come è sempre stato per Opyn, un ruolo fondamentale anche nell’ambito del credito alle imprese. Gli eventi più recenti – dalla pandemia, alla guerra, al boom delle quotazioni delle materie prime e poi dell’energia, alla carenza delle stesse sul mercato – hanno sdoganato la possibilità dei cigni neri. Questa imprevedibilità fa sì che i soli dati tradizionali (e.g. i bilanci) non siano più sufficienti per dare una visione esaustiva dello stato di salute di un’azienda.
In questi documenti si trovano sì delle informazioni, ma non abbastanza per determinare la sostenibilità e il merito creditizio della Pmi, trattandosi spesso di dati ormai obsoleti e di conseguenza meno adatti a fornire una fotografia recente ed affidabile.
Sempre più anche le banche e chi si occupa di erogare credito nel mondo tradizionale guardano a dati alternativi – che reperiscono dall’analisi dei movimenti sui conti correnti, dallo storico del pagamento delle fatture e degli stipendi (segnale di un solido network e dunque di affidabilità), dalle pagine web e social e così via per fa fronte a questa esigenza.
Nel prossimo futuro quello che ci attende sono previsioni sempre più aggiornate, basate su dati ampi e sempre più complessi, sulla scia di quello che in meteorologia si definisce nowcasting, ovvero la previsione a brevissimo termine e su parametri anche singoli.
La finanza tradizionale lavorerà sempre più a fianco del fintech, che dispone degli strumenti e delle tecnologie che rendono possibile questa analisi così stringente.
I dati che si vanno ad analizzare sono eventuali notizie negative che circolano in rete e gli estratti dei conti correnti che sono più aggiornati e non vecchi di un anno come i bilanci. Questo genere di analisi Opyn la faceva già un quinquennio prima che la PSD2 venisse adottata in Italia, nel settembre 2019. Opyn ha costruito algoritmi proprietari sull’analisi dei conti correnti che aiutano ad avere una visione concreta e aggiornata dei numeri dell’azienda. Ma con gli estratti conto si evincono anche elementi di stress, per esempio dai ritardi nei pagamenti delle fatture, o da un’eccessiva concentrazione verso un fornitore o un cliente e così via. L’algoritmo consente di analizzare una mole enorme di dati in tempi strettissimi e di scartare con immediatezza le aziende non idonee. Ma anche di fare simulazioni sui conti prospettici, modificando determinati parametri e valutando come vanno a impattare su fatturato e marginalità.
È chiaro che il fintech ha in qualche misura re-inventato il merito creditizio, rendendolo “facile” e accessibile a tutti, grazie alla tecnologia.