Ad accendere i motori della new space economy è certamente l’innovazione tecnologica che nel caso dello spazio assume una dimensione ancor più rilevante e si sviluppa in più direzioni
Secondo un recente rapporto curato da McKinsey per il World Economic Forum, entro il 2035 la space economy raggiungerà 1,8 trilioni di dollari: quasi il triplo rispetto al valore del 2023, con un tasso di crescita medio del 9% annuo; questa crescita sarà in gran parte basata su tecnologie spaziali e/o abilitate come comunicazioni; posizionamento, osservazione della Terra. In effetti, l’economia spaziale sta passando da una posizione di nicchia a fattore onnipresente nell’economia globale, creando valore per molteplici industrie e fornendo soluzioni per molte delle sfide più urgenti del nostro tempo. Più precisamente, la realtà di cui parla il rapporto McKinsey è quella che ormai viene denominata New Space Economy, secondo una terminologia coniata nei primi anni 2000 per distinguere le attività commerciali e i nuovi attori emergenti da quelli tradizionali e dagli operatori storici del settore. Questi ultimi erano spesso legati alla difesa ed erano strettamente legati alle agenzie governative (si pensi alla Nasa o alla nostra ASI) e lavoravano su progetti della durata limitata e dipendenti da appalti pubblici. Al contrario, come spiegava il rapporto preparato dall’Oecd per il 4º Space Leaders’ Meeting del G20 di Bangalore, gli attori del new space, grandi e piccoli, hanno portato con sé finanziamenti e strategie di innovazione prese da altri settori e in genere presentano una o più delle seguenti caratteristiche: un’elevata dipendenza dal capitale privato, con gli stessi miliardari dell’economia digitale (i vari Musk, Besoz, Branson…) a guidare la corsa; una capacità di sfruttare al massimo i processi di produzione snella e i modelli di business digitali; la prontezza a immettere sul mercato nuovi prodotti e servizi nati dalla convergenza tra digitale e tecnologie spaziali. In realtà, osserva ancora l’Oecd, i confini tra vecchi e nuovi attori spaziali non erano chiari fin dall’inizio e sono sempre più vaghi, perché anche gli operatori storici si rinnovano per adattarsi ai nuovi trend e i nuovi arrivati si inseriscono sempre più stabilmente nel sistema tra il mercato e le istituzioni. In termini di attività economiche, le attività del new space si collocano sia a monte sia a valle dell’intero scenario: le prime coprono attività fondamentali come produzione e lancio; le seconde sfruttano dati e segnali provenienti da infrastruttura space based. Ci sono poi attività parzialmente nuove, come il dispiegamento di costellazioni satellitari in orbita bassa per comunicazioni a banda larga; la produzione e il lancio di satelliti miniaturizzati e le relative applicazioni; attività commerciali completamente nuove, come l’estrazione di risorse spaziali, il turismo spaziale, i servizi in orbita e altre ancora.
Innovazione e trasferimento tecnologico
Ad accendere i motori della new space economy è certamente l’innovazione tecnologica che nel caso dello spazio assume una dimensione ancor più rilevante e si sviluppa in più direzioni: c’è tutta la tecnologia necessaria per le missioni spaziali, sia quelle a carattere strettamente scientifico sia quelle più legate ai servizi; ma ci sono anche tutte le tecnologie abilitanti che rendono possibili le missioni stesse e consentono di realizzare progetti ambiziosi, al limite del fantascientifico. Negli ultimi anni assistiamo sempre più a un intreccio delle tecnologie, a quella che si chiama la cross-fertilization degli ambiti tecnologici terrestri con quelli spaziali, resa possibile dalla rapidità di evoluzione delle tecnologie e dall’avanzata della digitalizzazione. L’innovazione però diventa realmente fattore di crescita economica e di sviluppo mediante il cosiddetto trasferimento tecnologico, cioè il sistema di scambio e valorizzazione delle conoscenze che consente di passare dai puri risultati della ricerca scientifica alle soluzioni utili ai fini produttivi e gestionali. Nel caso dello spazio, le attività di trasferimento tecnologico sono classificabili in due tipologie, in un certo senso simmetriche: da spazio a terra (spin-out) e da terra a spazio (spin-in). La prima si configura come un’attività di nicchia, ma di una certa rilevanza: comprende tecnologie pensate per l’ambito spaziale che vengono adattate e reinterpretate per un utilizzo terrestre; è un processo che si apre su mercati ‘di terra’ spesso estranei a quello spaziale ma generatori di innovazione e business. Il secondo, spin-in, è indirizzato a fornire un adeguato sostegno a sviluppi tecnologici innovativi di componenti ed elementi costitutivi, attualmente a basso livello di maturità tecnologica, in grado di garantire evoluzioni dei sistemi spaziali. Spesso le due tipologie diventano complementari: le tecnologie spaziali vengono portate a terra per poi essere industrializzate e personalizzate dando vita ad applicazioni future in mercati ‘di terra’, ma anche per essere nuovamente messe a disposizione delle applicazioni spaziali. Si comprende quindi come il trasferimento tecnologico costituisca uno strumento per promuovere l’innovazione delle imprese di settori diversi da quello spaziale, contribuendo al processo di sviluppo economico e alla competitività attraverso la cooperazione fra strutture scientifiche e imprese.
L’ecosistema spaziale italiano
Il trasferimento tecnologico non è né automatico né semplice: non bastano buone intenzioni e neppure solo buone idee. È una questione più sistemica, che dipende da una visione complessiva e da una chiara strategia di politica industriale; e dove entrano in gioco enti, strutture, istituzioni e organizzazioni deputate a queste azioni e dotate delle necessarie risorse umane e organizzative. Per l’Italia dobbiamo parlare dei classici enti, come Cnr ed Enea, che anche per altri settori hanno nella loro missione il Technology Transfer; ma anche le Università stanno mostrando interesse concreto a seguire il cammino dei risultati della ricerca scientifica e a favorire il passaggio dalla scoperta all’innovazione. Per lo spazio poi giocano un ruolo di primo piano enti come Inaf (Istituto Nazionale di AstroFisica) e Infn (Istituto Nazionale di Fisica Nucleare), e soprattutto una realtà come l’ASI (Agenzia Spaziale Italiana), i cui piani programmatici prevedono un’attività sistematica di sostegno a trasferimento di conoscenze tecnico-scientifiche verso le imprese, sia grandi che PMI, e con rilievo crescente per iniziative di sostegno alle imprese start-up; promozione di investimenti aggiuntivi, pubblici e privati, che agiscano sulla leva di ricaduta delle politiche spaziali nazionali sul mercato privato; meccanismi di trasferimento e applicazione delle tecnologie spaziali negli altri settori produttivi e viceversa. Si tratta insomma di attivare un ecosistema che è già ben radicato nel nostro Paese e che chiede solo di incrementare le interconnessioni e le collaborazioni. Volendo descrivere questo ecosistema possiamo dire che il comparto spaziale nazionale è rappresentato da un insieme di circa 200 imprese, dieci Distretti Tecnologici localizzati nelle regioni italiane, un Cluster Nazionale Tecnologico per l’Aerospazio (Ctna), tre Associazioni Industriali Nazionali (Aiad, Aipas e Asas), la piattaforma Spin-IT, che comprende circa 110 membri tra industria e università ed enti di ricerca, e un vasto e articolato sistema di Ricerca, rappresentato da circa 60 centri, tra Università/Dipartimenti e Centri di Ricerca con riconosciute punte di eccellenza. In questo stesso spirito di cooperazione e interscambio ossono nascere realtà come Galaxia, il Polo nazionale di trasferimento tecnologico per l’aerospazio, avviato un anno fa per dare un impulso concreto allo sviluppo di start-up concepite all’interno dei laboratori di ricerca specializzati nel settore. Con i 30 milioni di euro del fondo d’investimenti Cdp Venture Capital, Galaxia si concentrerà nei diversi ambiti applicativi dell’aerospazio: dalle soluzioni upstream (propulsori, razzi e satelliti, veicoli spaziali sub-orbitali, strumenti di telemetria e tecnologie per i centri di controllo delle missioni) a quelle downstream (tecnologie di remote sensing per l’osservazione della Terra, tecnologie per la comunicazione e navigazione satellitare e applicazioni integrate dei sistemi di navigazione satellitare per usi specifici), oltre che in tecnologie abilitanti e in attività di trasferimento delle principali tecnologie da spazio a terra e da terra a spazio. Galaxia ha 4 anni di tempo per investire in oltre 30 nuove imprese nelle fasi proof-ofconcept (prototipazione) e seed; in questo avrà come partner imprenditoriale Obloo, una realtà con una significativa storia di investimenti in startup deeptech e technology transfer, che si occuperà dello scouting, due diligence e della messa a terra degli investimenti, nonché del monitoraggio del portafoglio. Anche alcune università sono coinvolte: i promotori scientifici di Galaxia sono infatti il Politecnico di Torino e La Sapienza di Roma, insieme ad altri atenei italiani, tra i quali l’Università di Padova e il Politecnico di Bari: i loro ricercatori potranno accedere agli investimenti per le prototipazioni e beneficiare di un servizio specialistico di incubazione tecnica garantito da Obloo, con l’obiettivo di stimolare l’approdo sul mercato delle invenzioni prodotte dalla ricerca.
Space Solutions per l’Europa
Come in Italia l’ASI, così a livello Europeo è la stessa ESA (European Space Agency) a sostenere la Space Economy, tanto da creare ESA Space Solutions per ‘aiutare le aziende di ogni angolo d’Europa a sfruttare la tecnologia spaziale per migliorare la vita sulla Terra’, contribuendo con supporto finanziario, competenza tecnica, tutoraggio aziendale e accesso alle reti europee e al marchio ESA. ESA Space Solutions fa parte del programma Artes 4.0 (Advanced Research in Telecommunications Systems) dell’ESA e offre una gamma di opportunità di finanziamento per le aziende che intendono agire in questo settore, supportando kick start, studi di fattibilità, progetti dimostrativi. Attraverso il programma Business Applications and Space Solutions (Bass), viene fornito un sistema di supporto completo e strutturato per le aziende in tutte le fasi della loro crescita, accelerando l’innovazione e la collaborazione attraverso task force e partnership settoriali. L’attività riguarda tutti i principali settori, dalla sanità, all’istruzione e al tempo libero fino all’agricoltura, ai trasporti e all’energia. Tra i molti progetti sostenuti tramite il programma Bass, ne segnaliamo uno emblematico dell’ampiezza di prospettiva della Space Economy e significativo per il contesto italiano. Il progetto Vadus (Virtual Access and Digitization for Unreachable Sites), guidato dalla società di tecnologia strategica Next Ingegneria dei Sistemi, combina tecnologie 5G, tecnologie Galileo High Accuracy Service (HAS) e Realtà Aumentata e Virtuale (AR/VR) per affrontare le sfide connesse alla gestione del nostro patrimonio artistico, archeologico e storico; un patrimonio unico e impareggiabile al quale bisogna garantire libero accesso preservandone l’integrità. Vadus utilizza la scansione a colori 3D e la fluorescenza indotta dal laser (LIF) che consente di acquisire modelli 3D ad alta risoluzione. Questi modelli vengono utilizzati per creare ambienti virtuali che possono poi essere esplorati tramite app mobili o dispositivi VR indossabili. È evidente il vantaggio di queste tecnologie, soprattutto in un momento in cui le economie locali possono sopravvivere grazie al turismo, ma devono bilanciare l’impatto dei turisti; potrebbero anche esserci luoghi storici o informazioni non accessibili al pubblico a causa della loro fragilità o mancanza di accessibilità. Le tecnologie AR/ VR possono arricchire l’esperienza culturale nei musei, nei siti archeologici e in altri monumenti del patrimonio fornendo e facilitando l’accesso a questi siti. D’altra parte, ci sono aspetti tecnici, come le limitazioni di larghezza di banda o di connessione, che tendono a limitare la portata di queste applicazioni: per garantire che le esperienze AV/VR siano senza interruzioni e pienamente fruibili è necessario allora ricorrere alle tecnologie 5G e ai servizi satellitari HAS, come fa Vadus in qualità di abilitatore tecnologico. Il potenziale dell’app è già stato validato in quattro siti storici: Casa di Diana, Fortezza del Pastiss, Aula Isiaca e Casa dei Grifi. Non solo gli utenti hanno potuto attraversare virtualmente molti dei siti dimostrativi tramite tablet 5G, ma grazie a LIF sono stati forniti ulteriori tool che hanno consentito di ricostruire virtualmente manufatti che erano stati danneggiati o distrutti.
Sfide e rischi della new space economy
Non possiamo concludere queste note sulla New Space Economy senza raccogliere gli elementi di preoccupazione che, insieme alle valutazioni più entusiastiche, accompagnano le analisi di tanti osservatori. Se ne faceva interprete il già citato rapporto Oecd per il G20. La rapida crescita dell’economia spaziale sta sollevando preoccupazioni sulla sua sostenibilità ambientale. La dimensione delle costellazioni, esistenti e previste, composte da diverse migliaia di satelliti, aumenta la densità in orbita e solleva preoccupazioni per il rischio di collisioni, di generazione di detriti, nonché di inquinamento luminoso, che disturba la stessa attività astronomica. C’è poi l’inquinamento associato alla produzione, al lancio e al rientro in atmosfera dei veicoli spaziali. L’attuale clima economico e la situazione geopolitica mettono a dura prova la continua vitalità dell’ecosistema spaziale. E non mancano i dubbi sulla fattibilità economica di molti dei progetti proposti per la banda larga satellitare e altre attività ambiziose, come il turismo spaziale e l’estrazione di risorse spaziali. D’altra parte, il nuovo settore spaziale che si è creato nel panorama dell’economia mondiale apre nuove opportunità di crescita e benessere sociale: va quindi garantito, dice l’Oecd, attraverso una necessaria azione politica affinché la crescita sia sostenuta, sostenibile ed equa. Vengono quindi suggerite alcune opzioni politiche che acquistano un certo carattere di urgenza. Occorre livellare il campo di gioco: i decisori politici sono invitati a rivedere i regimi normativi nazionali e i processi di appalto attivando una ‘lente della concorrenza’, per garantire condizioni favorevoli per i nuovi operatori del mercato. Bisogna offrire più supporto ai nuovi attori e a quelli giovani: molti governi hanno già adottato misure volte a migliorare l’accesso ai finanziamenti attraverso la creazione di fondi pubblici di venture capital; altre misure possono includere finanziamenti dedicati alla ricerca e sviluppo, test tecnologici e opportunità di volo. Altra opzione suggerita è quella di costruire partenariati per affrontare le sfide reciproche: di fronte alle crescenti pressioni fiscali e alle sfide globali, i governi sono invitati a costruire partenariati sia a livello nazionale sia internazionale. Le agenzie governative hanno a disposizione una vasta gamma di meccanismi d’appalto e di strumenti per sfruttare al meglio le capacità del settore privato e gli interessi commerciali. Infine, poiché le attività spaziali diventano sempre più importanti per la società, è fondamentale garantirne la sostenibilità a lungo termine e affrontare le esternalità negative. La stabilizzazione dell’ambiente orbitale richiederà un’azione concertata sia a livello nazionale sia internazionale e nuove idee, come il Sustainable Space Rating, sviluppato congiuntamente da attori pubblici e privati e guidato dal Politecnico Federale di Losanna (Svizzera). È quindi necessaria una visione strategica a lungo termine circa ruolo e capacità degli attori, sia pubblici che privati.