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Industry 4.0: un’opportunità da cogliereERT

Il contributo della manifattura all’intero PIL europeo è pari al 15%, tre punti percentuali in più rispetto a quanto lo stesso comparto pesi sul PIL statunitense (12%). Risulta dunque chiaro come l’industria rappresenti per il Vecchio Continente un asset strategico sul quale sia opportuno puntare per lo sviluppo dei prossimi anni.

A sancire l’importanza di questa considerazione, si consideri che dal manifatturiero nella UE vengono a dipendere l’80% delle innovazioni e il 75% delle esportazioni, per non contare gli effetti indotti generati sull’economia dei servizi. Eppure, negli ultimi dieci anni il manifatturiero europeo ha – in generale – perso opportunità a discapito della forte concorrenza dei Paesi emergenti.

Per averne conferma, basta fare un salto indietro ai primi anni ’90, quando oltre il 60% del PIL manifatturiero mondiale era appannaggio delle sei maggiori economie: USA, Giappone, Germania, Italia, UK e Francia. Il peso degli allora paesi emergenti non si attestava che al 21%.  Oggi, a vent’anni di distanza, questi stessi paesi sono saliti a quota 40% sul totale del PIL manifatturiero mondiale che, nel frattempo, è quasi raddoppiato da 3,5 a 6,5 trilioni di euro.

Per le economie occidentali è tutto irrimediabilmente compromesso, allora? Come non ha mancato di sottolineare anche la Commissione Europea, la grande occasione che l’Europa – e ovviamente l’Italia – non può perdere sarà la sfida giocata sul campo dell’innovazione tecnologica e della produzione a elevato valore, materia sulla quale, grazie a Industry 4.0, le economie tradizionali potranno fare la differenza con quelle emergenti. Ma non tutto è così semplice.

Un recente studio condotto da Roland Berger, società di consulenza strategica industriale, fotografa la sintomatica eterogeneità di approccio con cui i vari Paesi europei guardano ai nuovi paradigmi dell’industria 4.0. L’analisi restituisce i paesi suddivisi in quattro categorie: fuggitivi (Germania, Irlanda, Svezia), tradizionalisti (Rep. Ceca, Ungheria, Slovacchia, Slovenia), indecisi (Bulgaria, Croazia, Polonia, Spagna) e potenziali (Belgio Danimarca, Olanda, Francia, UK).

È interessante notare come l’Italia, collocata nell’insieme dei paesi “Indecisi” si ponga in realtà quasi a cavallo di tutti e quattro i quadranti. Abbiamo certamente una buona base industriale, composta da molte eccellenze, però disomogenea in termini di investimenti e valore aggiunto della produzione. Se siamo esitanti è probabilmente segno di un difetto strutturale legato alla mancanza di un chiaro piano di politica industriale. Un fatto sul quale la nostra classe politica deve iniziare a riflettere attentamente anche, come detto in apertura, a seguito delle raccomandazioni che la Commissione UE non ha esitato a fare.

 

Grafici tratti da “INDUSTRY 4.0 – The new industrial revolution. How Europe will succeed”, Roland Berger

 

Federica Ronchi