La tecnologia al servizio delle imprese non è uno slogan vuoto, ma un vero acceleratore dello sviluppo e dell’innovazione. In moltissimi ambiti: dalla protezione della produzione industriale alla semplificazione dell’accesso al credito. Diverse imprese ne hanno preso atto consapevoli che le spese in tecnologia non siano un costo, ma un investimento altamente redditizio. Basti pensare alla filiera del Made in Italy: secondo un report dell’Ocse la contraffazione dei prodotti marchiati dallo stivale costa al Sistema Paese 25 miliardi di euro l’anno, quanto una legge di bilancio, ma anche più semplicemente quanto il valore del 3,2% delle vendite totali dell’economia italiana.
Non è un mistero, infatti, che la nostra economia sia tra le più colpite nel mondo da violazioni dei diritti d’autore, davanti a noi ci sono solo Stati Uniti e Francia. Le soluzioni blockchain possono consentire alle aziende italiane di affrontare le sfide rappresentate da contraffazione e pirateria. Ecco perché il mondo delle imprese inizia a guardare con interesse crescente alle applicazioni basate su questa tecnologia, proprio in funzione della gestione della catena di approvvigionamento e della tutela della proprietà intellettuale: solo nel 2019, le aziende italiane hanno investito circa 30 milioni di euro in progetti di blockchain, raddoppiando le spese dell’anno prima.
I dati dimostrano che i settori dell’economia italiana più colpiti dai problemi della contraffazione sono proprio quelli maggiormente caratterizzati dalle piccole e medie imprese: sempre l’Ocse illustra che il mondo delle PMI nei settori dell’abbigliamento e delle calzature perdono circa 3,75 miliardi, mentre la filiera dell’agroalimentare rinuncia ad altri 3,2 miliardi.
Il paradosso, ma solo fino a un certo punto, è che le grandi aziende, quelle che nell’immaginario collettivo investono di più in tecnologia, sono quelle che hanno meno problemi, mentre l’uso della blockchain potrebbe rivoluzionare la vita di tutte quelle piccole e medie imprese di filiera che faticano a difendere la loro unicità. Ecco perché, in Italia, molti progetti si rivolgono proprio alle PMI: perché sono quelle che potrebbero trarre maggior vantaggio da caratteristiche come trasparenza, tracciabilità, sicurezza, immutabilità, tempestività, controllo semplificato della qualità, e possibilità di evitare il ricorso a soggetti intermedi, in quanto si permette – per esempio – a consumatori e clienti di accedere alle informazioni sulla produzione e sull’origine dei materiali, informazioni che diventano ogni giorno più importanti perché legate alla sostenibilità. Si pensi a Temera, una società che utilizza la Blockchain per aiutare le imprese italiane a certificare la propria filiera e l’autenticità dei propri prodotti. Una delle aziende che hanno beneficiato di questa tecnologia è Peuterey: brand toscano che ha potuto garantire ai propri consumatori la trasparenza della produzione e la garanzia delle certificazioni di tutte le componenti 100% derivanti da processi di riciclo e/o rigenerazione.
Altro esempio di utilizzo è quello di affiancare la vendita di prodotti reali con quelli digitali fornendo un NFT del prodotto acquistato da usare nel Metaverso. Questa possibilità non è aperta solo ai grandi marchi ma anche alle PMI: si pensi alle opportunità che potrebbero nascere dall’avere un negozio digitale che permette, ad esempio, ai clienti di visualizzare i prodotti attraverso la realtà virtuale. Si tratta di investimenti importanti per le PMI ma che potrebbero anche trasformarsi in un risparmio nel momento in cui alcune attività fisiche (eventi, trasferte, ecc.) vengono trasportate nel mondo virtuale.
Nel caso delle operazioni finanziarie, per esempio, la decentralizzazione e la trasparenza della tecnologia potrebbero aumentare la finanziabilità delle imprese, riducendo sempre di più i costi e i tempi necessari per ottenere un prestito.
Se da un lato, infatti, finanziare un’impresa vuole dire soprattutto credere nell’imprenditore e nella sua capacità di rimborsare il prestito; dall’alto serve credere nei suoi dati e nella storia della filiera, come sanno bene a Credimi. Valutare un’azienda sui dati di bilancio che raccontano una storia vecchia di diversi mesi se non anni, in un mondo che evolve quotidianamente in modo ormai imprevedibile, è infatti poco sensato. In quest’ottica la blockchain permette di vedere in tempo praticamente reale e con informazioni immutabili quello che succede lungo la catena del valore avendo, quindi, la ragionevole certezza che dati e numeri siano reali. Questi dati insieme alle informazioni disponibili dai gestionali aziendali e dai conti bancari accessibili con PSD2 sarebbero un incredibile alleato per incrementare la capacità di supportare l’azienda. In uno scenario del genere, per esempio, si possono immaginare degli smart contract che modulano l’erogazione di un credito immediatamente dopo la lettura di un “tag NFC” (un sistema simile a quelli usato per effettuare i pagamenti con il cellulare): magari stimando il fatturato in base all’uscita del prodotto dal magazzino.
Una gestione dei dati del genere aiuterebbe molto anche lo sviluppo dell’ecosistema delle start-up: anche la migliore e più disruptive delle aziende giovani fatica a scrivere un bilancio, semplicemente perché non c’è. Una condizione comune, ma che limita per molti l’accesso al credito. Un’analisi attenta dei dati, invece, permette di capire quanto credito sia realmente necessario a supporto della crescita e quali siano gli strumenti migliori: l’utilizzo della blockchain potrebbe semplicemente validare numeri anche di start-up che non hanno una storia pregressa.