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Il mercato italiano dei Big Data cresce anche nel 2022ERT

Nonostante il periodo di grandi difficoltà dovute alle tensioni geopolitiche e agli alti tassi di inflazione, quest’anno il mercato Data Management e Analytics raggiungerà i 2,41 miliardi di euro, +20% rispetto al 2021. Una crescita trainata soprattutto dalla componente software (54% del mercato, +25% rispetto al 2021), mentre la spesa in risorse infrastrutturali cresce in maniera meno sostenuta, al di sotto della media del mercato. Un buon andamento che coinvolge tutti i settori merceologici ma, in controtendenza con gli anni precedenti, nel 2022 sono GDO/Retail, Pubblica Amministrazione (PA) e Sanità i comparti che segnano la crescita più marcata. Il budget Analytics destinato a servizi di Public Cloud sale a un ritmo doppio rispetto alla media di mercato e sfiora un quarto della spesa in soluzioni e servizi di Data Management & Analytics.

Sono i risultati della ricerca dell’Osservatorio Big Data & Business Analytics della School of Management del Politecnico di Milano*, presentata durante il convegno “Data-driven culture: connettere algoritmi e persone”. Quest’anno l’Osservatorio ha realizzato un indice di maturità complessivo denominato “Data Strategy Index”, che mostra come solo il 15% delle grandi aziende può dirsi “avanzato”, mentre il 30% “intraprendenti”, il 22% “prudenti” e il 33% “immature” o “ai primi passi”.

Nelle grandi aziende permane la difficoltà nell’inserimento di ruoli professionali specializzati su gestione e analisi dei dati: il 49% dichiara di aver introdotto almeno un Data Scientist, il 76% un Data Analyst e il 59% un Data Engineer. Inoltre, il 66% delle grandi realtà dichiara di aver sperimentato tempi di recruiting più lunghi e circa il 40% tassi di turnover più elevati. Sul fronte delle Pmi, il 55% dichiara di aver portato avanti investimenti in ambito Data Management & Analytics o prevede di farlo entro fine anno. Percentuale in crescita rispetto al 2021, ma che non mostra importanti accelerazioni rispetto a quanto registrato negli ultimi tre anni. Inoltre, quattro aziende su dieci non hanno alcuna figura dedicata, neanche parzialmente, all’analisi dei dati.

La ricerca 2022 ha costruito un indice di maturità complessivo comprensivo di tre ambiti: Data Management & Architecture (strumenti, competenze e processi per la gestione tecnologica, integrazione dei dati e governo del patrimonio informativo), Business Intelligence e Descriptive Analytics (strumenti e competenze di base per una Business Intelligence pervasiva) e Data Science (attività che contemplano analisi predittive e di ottimizzazione a partire dall’analisi dei dati).

È possibile definire “avanzate” il 15% delle grandi imprese. Ma anche per queste ci sono ampi margini di miglioramento, come l’inserimento di figure executive a capo della strategia di valorizzazione dei dati o la capacità di valutare i dati come asset, in grado di porsi alla base di nuove forme di collaborazione extra-aziendali.

Le aziende intraprendenti (30%) sono realtà che hanno già sviluppato una buona esperienza con gli Advanced Analytics ma lamentano alcune carenze lato gestione e governo dell’intero patrimonio informativo. Le prudenti (22%) sono organizzazioni che hanno approcciato in maniera parziale o stanno per approcciare l’utilizzo della Data Science, ma hanno una buona gestione e qualità dei dati a disposizione. In entrambe le situazioni ci sono benefici e rischi, che i decisori aziendali dovranno essere in grado di riconoscere. Infine, per le aziende immature (18%) o ai primi passi (15%), la priorità rimane il consolidamento dell’attività di Business Intelligence, ossia il completo superamento dell’utilizzo di fogli elettronici e l’introduzione pervasiva di strumenti di Data Visualization & Reporting avanzati.

Negli ambiti della Business Intelligence e Descriptive Analytics le grandi organizzazioni sono a buon punto. L’83% dichiara la presenza di competenze (centralizzate o distribuite) e il 69% sfrutta strumenti di Data Visualization avanzati. Nonostante questo, solo quattro aziende su dieci testimoniano un alto livello di pervasività nell’utilizzo dei dati nei processi decisionali. Sul fronte della Data Science, prosegue la crescita delle organizzazioni che hanno avviato almeno una sperimentazione in ambito Advanced Analytics (65%, nel 2021 era il 54%). Tra queste, una su due dichiara un numero di progetti superiore al 2021. Le funzioni in cui la Data Science trova maggiore applicazione sono Marketing, Vendite, e Produzione. Contesti in cui risulta più semplice valorizzare in termini economici i risultati portati dalle singole progettualità.

Così come già evidenziato negli scorsi anni, permangono importanti differenze tra il livello di maturità delle medie (50-249 addetti) e piccole (10-49 addetti) imprese. Le imprese di medie dimensioni hanno un livello medio di adozione delle tecnologie più alto delle piccole. Inoltre, solo un terzo dichiara di non avere personale dedicato – almeno parzialmente – all’analisi dei dati. La forbice tra piccole e medie registra comunque leggeri segnali di riduzione rispetto agli scorsi anni. Le piccole e medie imprese che hanno figure interne si affidano spesso anche a consulenti esterni, prevalentemente in maniera spot su specifici progetti.

Quest’anno l’Osservatorio ha condotto, in collaborazione con BVA Doxa, una rilevazione rivolta ai lavoratori non specialisti dell’analisi dei dati delle aziende con più di 10 addetti. Tra questi, il 60% dei manager dichiara di visualizzare almeno una volta a settimana report di sintesi sulle aree di propria competenza. La diffusione della Data Literacy oltre le figure specializzate non è dunque marginale ma è un’evoluzione fondamentale per connettere algoritmi e persone. Considerando tutti i lavoratori, si scopre come, in media, i lavoratori italiani abbiano competenze appena sufficienti per essere considerati alfabetizzati ai dati in relazione alla propria mansione lavorativa. Tuttavia, emergono limiti sulla conoscenza del patrimonio informativo aziendale e sull’interpretazione delle analisi predittive.