South Pole, fondata in Svizzera e operante in 50 paesi con 23 sedi e 700 dipendenti, opera nel crescente settore della mitigazione climatica. Negli ultimi 7 anni le startup green che hanno assunto valorizzazioni superiori al miliardo di dollari sono 78, di cui 43 nel settore della mobilità e dei trasporti; 13 nel settore dell’agricoltura, dell’alimentazione e tutela del territorio; 10 nell’industria della meccatronica e della logistica; 10 nella produzione di beni e solo 9 nel settore energetico.
La finanza internazionale e il venture capital stanno puntando con decisione sulle aziende del comparto, che sostanzialmente abilitano soluzioni di decarbonizzazione nel mondo della produzione. Parliamo di segmenti di business diversi, che vanno dall’efficientamento dell’energia, al recupero e il riciclo dei materiali e a tutto quanto connesso all’economia circolare in produzione, alle soluzioni per la logistica e alle tecnologie che contribuiscono a efficientare le filiere produttive e distributive, così come la gestione di forme di compensazione (come l’acquisto di crediti di carbonio certificati).
Secondo l’ultimo State of Climate Tech Report di PwC, nel 2021 il capitale investito nelle startup green è cresciuto del 210% rispetto al 2020, toccando quota 87,5 miliardi di dollari di raccolta. Un trend che, secondo dati parziali, sembrerebbe essere proseguito anche nel 2022.
Quanto all’Italia, il numero di startup a significativo impatto sociale e ambientale a fine 2021 è di 486 (secondo il Social Innovation Monitor dell’Università di Torino) ed è cresciuto del 28,2% rispetto alle 349 società rilevate alla fine del 2020. Sono ancora poche sul totale generale delle Startup Innovative (dal 3,1% di fine 2020 al 3,8% del 2021), ma in crescita. Servono però investimenti, di sistema, importanti e serve una strategia.
Se la tensione verso la sostenibilità è un fatto acclarato, quello che emerge ancora troppo poco è la strettissima correlazione tra tale transizione e il processo di digitalizzazione in corso, che è abilitato dalle startup.
Vediamo sempre più realtà di grande prospettiva che stanno sviluppando soluzioni in verticali tecnologici che rappresentano l’infrastruttura su cui verranno costruiti i modelli di consumo e produzione sostenibili di domani, che siano anche più resilienti rispetto ai cambiamenti climatici già in atto. Ed è chiaro che il trend veda in prima linea i migliori talenti e gli imprenditori più capaci, che in queste sfide epocali si riconoscono anche da un punto di vista culturale. Essi danno vita alle realtà cosiddette “purpose driven” ovvero la cui missione di business è guidata da una proposizione di miglioramento dello status quo (sociale o ambientale), e che sono anche quelle che hanno un vantaggio nell’assicurarsi i migliori talenti, anche negli ambiti in cui il mercato del lavoro è più competitivo (ambiti tecnologici, digital marketing, ecc.).
Uno degli ambiti in prima linea nel processo di transizione è sicuramente quello dell’energy. Tra l’altro, in Europa e ancor di più in Italia la sfida all’innovazione in questo settore risponde sia alle esigenze legate ai temi di sostenibilità ambientale, sia al tema dell’autonomia energetica necessaria per svincolarsi dall’import di gas. La transizione spinge in modo chiaro nella direzione di un passaggio alle fonti rinnovabili e a modalità di produzione decentrate. Che però per loro natura sono intermittenti, mentre la domanda è conformata a un flusso di fornitura costante. Si vedranno sempre di più comunità energetiche autonome (in cui l’Italia è stata, soprendentemente, uno dei primi paesi a legiferare con il Decreto legislativo 8 novembre 2021, n. 199) interconnesse con il sistema distributivo centrale. Perché offerta e domanda si incontrino, è necessario lo sviluppo di soluzioni digitali che consentano di gestire i flussi in modo decentrato e di incentivare e monitorare produzioni e consumi da parte di utenti finali che saranno sempre più non solo consumatori ma anche produttori e distributori di energia elettrica. Ci sono già realtà innovative che stanno sviluppando tecnologie in tale direzione (ne sono esempi fuori dall’Italia Spectral Energy, Energy Web o Power Ledger), per una strada che sembrava fino a ieri utopica e oggi, grazie a queste, è realmente una via percorribile.
Un secondo settore in cui è in atto una rivoluzione copernicana è la mobility. Dall’Unione Europea arriva lo sfidante obiettivo della completa elettrificazione dell’automotive entro il 2035. Anche fortemente incentivati da tale spinta normativa, i modelli di utilizzo e proprietà stanno cambiando radicalmente, e anche i grandi player dell’automotive devono considerare nuove strade. Ne è un chiaro esempio la nostra esperienza in Bipi, realtà che ha sviluppato un concetto di “Car as a Service” (ovvero un modello di business legato alla considerazione da parte dell’utilizzatore finale dell’auto come servizio e non come asset di proprietà) ritenuta centrale nella strategia di sviluppo di uno dei più grandi gruppi dell’automotive a livello mondiale, il Gruppo Renault, che l’ha acquisita nel 2021. A ciò chiaramente si aggiunge il tema della transizione tecnologica da motori termoelettrici a “electric vehicles” (EV), che, spinta con una tabella di marcia battente, crea esigenze di sviluppo dell’infrastruttura di ricarica che attivano possibilità di innovazione rilevanti. Proprio gli ambiti dell’elettrificazione, sia del trasporto privato che delle flotte commerciali, sono opportunità chiare in cui il ruolo di realtà innovative sarà chiave in futuro: dalle soluzioni di sostituzione e ricarica di batterie (interessante il percorso della ancor piccola ma promettente ReeFilla), alle già citate modalità alternative di utilizzo di veicoli in sharing o in modalità flessibili di noleggio (Bipi, FlexCar), all’integrazione tra micro-mobilità e servizi di mobilità pubblica e privata, fino alle piattaforme che permettono alle aziende che hanno esigenze logistiche e commerciali di rendere più flessibile e a minor impatto ambientale la strutturazione delle flotte aziendali (come la spagnola PandaGo).
Un altro settore di evidente interesse, per cui si prevede una crescita a tripla cifra, è quello dei servizi di sostenibilità al mondo corporate. Bisogna sottolineare come sempre più anche l’accesso al credito sarà legato a performance non finanziarie (ambientali e sociali e di governance), con cui tutte le realtà aziendali dovranno prima o poi confrontarsi adottando soluzioni ad hoc: tra cui rientrano realtà edTech legate alla sostenibilità, soluzioni di misurazione, monitoraggio e reporting delle emissioni, tecnologie che mirano alla riduzione dell’impronta energetica e al carbon offsetting.
Nell’edTech rientrano società che stanno sviluppando soluzioni (distribuite all’utente finale tramite app) volte da un lato a sensibilizzare e dall’altro a formare sia clienti che dipendenti su comportamenti sostenibili. Il mondo corporate avrà sempre più incentivi a trovare soluzioni che portino a ridurre le emissioni sia dirette (Scope 1) sia indirette (Scope 2 e 3) e quindi generate lungo l’intera catena del valore, dall’approvvigionamento di materiali all’utilizzo dei prodotti dai consumatori finali e al loro smaltimento. Una realtà interessante in questo ambito è AWorld, startup italiana diventata partner ufficiale dell’iniziativa “Act Now” promossa dalle Nazioni Unite.
Sono poi nate già da qualche anno soluzioni software che mirano, con diversi livelli di complessità e diversi target (dalle grandi corporate alle PMI), a dare al mondo aziendale gli strumenti per monitorare in modo costante e puntuale l’impronta ambientale, e quindi poter agire attraverso azioni specifiche e mirate per la riduzione di tale impronta. Ne sono esempi già consolidati la tedesca Planetly (acquisita nel 2022 da One Trust) o l’italiana CarbonSink (acquisita dalla già menzionata South Pole). Realtà più in fase di lancio sono la spagnola A-Planet o l’italiana Ecomate.
Spesso poi all’attività di monitoraggio e reporting si aggiungono attività volte alla riduzione del “carbon footprint”, o di offsetting (attraverso il finanziamento tramite Carbon Credits di progetti in paesi in via di sviluppo). Sulla gestione di tali processi si stanno focalizzando altri player che grazie a un approccio nativo digitale riescono a disintermediare filiere complesse e garantire un elevato livello di trasparenza e tracciabilità. Tra queste, sono realtà di ottima ambizione e prospettiva le italiane Green Future Project e Up2You.
In conclusione, tutti i segnali indicano una sempre crescente attenzione verso soluzioni digitali che consentano una efficiente (e sperabilmente rapida) transizione verso un mondo più sostenibile. Dalle azioni normative e regolamentari sovranazionali e nazionali, alle richieste dei consumatori, al mondo finanziario, i fattori che portano l’onda “green” a essere sempre più alta e potente sono molteplici. Noi vogliamo puntare su coloro che sapranno cavalcare quest’onda fino in fondo, contribuendo a creare l’infrastruttura sostenibile del domani.