Secondo Paolo Scarfì di I.M.A. (Italia Manutenzione Automatismi) la differenza sostanziale è data dalla velocità, intesa come tempi d’acquisizione e comando. Nell’ambito controllo di processo la velocità rappresenta solitamente un parametro essenziale in funzione del tipo di processo, mentre a bordo macchina le tempistiche di funzionamento dipendono dalla macchina stessa, dove la velocità d’acquisizione e comando può non essere importante, sempre a secondo del tipo di macchina. “Si è sempre ritenuto che con i bus di campo e la conseguente gestione del protocollo e dei tempi di risposta dei dispositivi, i tempi d’acquisizione dei dati non fossero all’altezza dei DCS”, riferisce Scarfì. “Inoltre, data la mole di segnali, nel controllo di processo non è mai stato preso in considerazione il PLC o, se lo è stato, questo non ha mai ricoperto il ruolo di master di un fieldbus. Oggi molti dei dispositivi su fieldbus possiedono una propria memoria e un’unità elaborativa che permettono loro di eseguire le operazioni in loco, decentrando e distribuendo il lavoro direttamente sul posto di attuazione”.
“I tradizionali impianti di processo automatici sono caratterizzati da una notevole quantità di segnali analogici, espressione di altrettante misure di grandezze fisiche e chimico-fisiche rilevate direttamente in campo”, afferma Renato Uggeri di Softing IS Italia. “Dal punto di vista logico-funzionale in un impianto di processo devono essere soddisfatte azioni di regolazione e modulazione d’impianto talvolta complesse e concatenate. Generalmente, le variabili in ingresso e di comando non richiedono velocità di risposta elevatissime, ma necessitano determinismo, ovvero devono essere aggiornate sempre con la stessa cadenza ciclica”. Dal punto di vista del livello fisico sono richieste soluzioni multidrop con possibilità di collegamento bifilare dove lo stesso conduttore serve sia per il trasporto del segnale, sia per l’alimentazione dei dispositivi di campo; inoltre, questi ultimi sono spesso in zone a pericolo d’incendio o esplosione. Anche se in misura inferiore rispetto al manifatturiero le variabili di tipo on/off solitamente sono mescolate a quelle analogiche e talvolta devono essere processate con estrema rapidità, così come accade nel settore manifatturiero. “I fieldbus adatti al controllo di processo devono tenere conto di queste condizioni essenziali e devono poterle soddisfare”, conclude Uggeri.
A proposito di diffusione
La diffusione dei fieldbus nell’industria di processo è iniziata con un certo ritardo rispetto a quanto è avvenuto in altri settori. Qual è oggi la situazione?
“La tecnologia fieldbus è ormai entrata a pieno titolo nei sistemi d’automazione per gli impianti di generazione d’energia”, afferma Allegro. “L’architettura che si è affermata prevede l’impiego congiunto di moduli di I/O remoto e di strumenti intelligenti su segmenti bus gestiti da controllori distribuiti sempre più in prossimità del processo. Siamo oggi in presenza di reali referenze e del consolidamento di know how applicativo legato a concrete esperienze sul campo, come quella maturata da ABB Energy Automation in Italia con la realizzazione di applicazioni basate su Profibus-DP/PA per le centrali Enel Produzione a ciclo combinato di La Casella e Porto Corsini”. Nel contempo, prosegue l’evoluzione tecnologica che consente d’integrare tramite fieldbus praticamente ogni componente del sistema d’automazione. “Ritengo vi sia in Italia una buona cultura generale per quanto riguarda i bus di campo nell’industria di processo e che le decine di impianti realizzati, anche dalla nostra azienda, siano una prova concreta di questa situazione”, sostiene Villa. Secondo Galloni, invece, il ritardo nell’introduzione dei bus di campo è legato allo sviluppo di una tecnologia (Foundation Fieldbus) che ha marciato di pari passo con lo sviluppo della normativa (ISA e IEC), unica volta in cui un ente ha definito una tecnologia anziché ratificarne una esistente, creando notevoli difficoltà nell’armonizzazione delle esigenze dei diversi fornitori. Un altro fattore di ritardo è imputabile alla mancanza di una richiesta specifica dell’utenza, ancora inesperta della nuova tecnologia. “Inoltre, a ben vedere, gli utilizzatori delle attuali apparecchiature intelligenti con protocollo Hart, disponibile a costo zero, antesignano di Fieldbus Foundation, non sfruttano ancora a pieno l’intelligenza a loro disposizione e difficilmente concepiscono o conoscono le funzionalità aggiuntive degli strumenti Foundation Fieldbus”, commenta Galloni. “Effettivamente, i bus di campo hanno fatto molta fatica ad affermarsi nell’industria di processo”, afferma Marco Rizzi di Rockwell Automation. “Gli ostacoli maggiori sono derivati dalla completa intercambiabilità dei fornitori nel caso di strumentazione collegata nel classico 4-20 mA. Ovviamente, all’inizio tutti gli standard faticano a imporsi, per la necessità dei produttori di cercare di conservare la loro nicchia di mercato. Per cui più un sistema è chiuso, più il produttore si sente protetto”. Attualmente, la situazione si presenta in rapida evoluzione; i vari bus di campo si stanno affrancando dalle perplessità suscitate inizialmente e il mercato comincia a reagire in modo più dinamico. “Siamo ancora lontani, in termini di volumi se non di tempo, dalla definitiva affermazione dei bus di campo, ma l’avvio è stato preso e ormai non è più pensabile un cambiamento di rotta. Gli utenti stanno prendendo lentamente confidenza con queste tecnologie e le possibilità che esse offrono stanno aprendo nuove possibilità per poter controllare in modo più redditizio e sicuro gli impianti. Alcune tecnologie si stanno maggiormente affermando tra cui le reti ad alte prestazioni che permettono di sfruttare al massimo la nuova distribuzione dell’intelligenza che esegue gli algoritmi di controllo, collocata il più vicino possibile agli elementi fisici da controllare”, conclude Rizzi. Secondo Polita il ritardo della diffusione dei fieldbus nell’industria di processo è dovuto alla meno sentita esigenza da parte di questo settore d’introdurre innovazioni in un processo relativamente semplice e ad alto valore aggiunto. “Il vantaggio dato dai bus di campo è rendere disponibile una grossa massa di informazioni in grado di essere manipolate per l’ottimizzazione delle soluzioni”. E prosegue: “Nel caso di processi discreti questa ottimizzazione si limita a un migliore utilizzo delle risorse già presenti (package)”. Nell’industria di processo, invece, questo significa nella maggior parte dei casi un investimento anche in infrastrutture di MIS e MES, in grado di sfruttare a pieno questo patrimonio di informazioni. “Per tale motivo l’industria di processo rimane restia a compiere un passo come questo, giustamente non accontentandosi di avere a disposizione più dati se poi può utilizzarli solamente per la manutenzione preventiva”, conclude Polita. “Anche i costruttori hanno la loro parte di colpa quando, in mancanza di uno standard universalmente riconosciuto, si limitano a presentare le soluzioni fieldbus che hanno in casa anziché cercare il prodotto migliore per il cliente”.