Nel disegnare lo scenario post pandemico abbiamo tutti applaudito al balzo in avanti compiuto forzosamente dalla digitalizzazione. Un balzo che da più parti è stato stimato di dieci anni in 8 settimane e che potrebbe rappresentare il primo passo per colmare il gap italiano rispetto al resto dell’Europa. Con l’entusiasmo anche di quanti – individui e imprese – erano restii ad abbracciare il progresso tecnologico e ora, dopo averne apprezzati i benefici, non intendono tornare indietro.
All’improvviso abbiamo tutti dovuto imparare a fare qualsiasi cosa da pc e smartphone: lavorare, andare a scuola, fare la spesa. Ma le principali fautrici di questa accelerazione sono state le aziende. Lo conferma il ‘Global CEO Outlook Survey 2020’ di KPMG, la ricerca annuale condotta su 1.300 amministratori delegati attivi in 11 delle principali economie globali, tra cui l’Italia. Ne emerge che questi hanno fatto importanti investimenti in tecnologia durante il periodo del lockdown, puntando molto sulla digital transformation per rendere le proprie imprese maggiormente resilienti, flessibili e customer-focused.
Ben l’81% ha osservato, durante la pandemia, un’accelerazione dei processi di trasformazione digitale nelle aziende da loro guidate. Le principali innovazioni sono state fatte nella digitalizzazione delle operazioni, con il 30% che afferma di essere ora ad un livello di progresso ben più avanzato di quanto si sarebbero aspettati in tempi normali.
Tutto molto bello. Ma così come accelera la trasformazione, dovrebbe accelerare anche la sicurezza.
Questa galoppata non programmata ha un effetto collaterale che non si può trascurare: richiede che sia alzato il livello della cybersecurity. Mentre Zoom diventava la seconda App più scaricata sui dispositivi di tutto il mondo e si incrementavano esponenzialmente le riunioni e le ore di lavoro da remoto, nei primi sei mesi del 2020 a oggi le segnalazioni relative a ransomware sono aumentate di oltre il 700%, segnalando l’intensificazione dell’attività degli hacker. Inoltre, secondo il Digital Defense Report 2020 presentato a settembre da Microsoft, nell’ultimo anno gli attacchi non sono cresciuti solo per numero, ma anche per sofisticatezza, rendendo da un lato i cybercriminali più difficili da identificare e dall’altro gli utenti anche più esperti sempre più esposti.
Insomma, man mano che il lavoro da remoto aumenta, la sicurezza deve essere rafforzata, e garantita sull’intero flusso di lavoro, dal cloud al laptop dei dipendenti. E se c’è un punto di ingresso che gli hacker preferiscono, l’anello debole di tutta la catena del valore, quello sono le password. Secondo l’ultimo Data Breach Investigations Report di Verizon Business, a causare la maggior parte degli attacchi di hacking nel 2020 (circa l’80%) sono stati proprio episodi di furto di credenziali.
Il furto di credenziali e gli attacchi di “social engineering”, così come il phishing e le compromissioni delle e-mail aziendali causano la maggior parte delle violazioni (oltre il 67%), e in particolare: il 37% delle violazioni legate al furto di credenziali è stata determinata dall’utilizzo di credenziali rubate o deboli; il 25% ha coinvolto attività di phishing; l’errore umano ne ha causate il 22%. Una tendenza che si sta diffondendo velocemente anche in Italia, dove, secondo il Rapporto Clusit 2020, il phishing/social engineering è cresciuto del +81,9%. Le cause sono la curiosità umana e l’ormai costante bisogno di informazioni: non è un caso infatti che attacchi di questo tipo abbiano visto un picco proprio a marzo 2020, approfittando dell’ansia collettiva causata dalla pandemia.
La buona notizia è che, secondo Microsoft, il 99% di tutti gli hack può essere eliminato con Multi Factor authentication, ovvero, sostanzialmente, rafforzando il sistema delle password, combinando i segreti memorizzati (password, PIN, risposte segrete) con dispositivi secondari come smartcard, token hardware o codici una tantum inviati via testo al dispositivo dell’utente. Questo mix di dispositivi fisici rischia peró di diventare complicato da gestire e peggiorare l’esperienza dell’utente finale. Come ottenere il massimo della sicurezza senza compromettere la semplicità di utilizzo?
Una soluzione definitiva è quella di eliminare le password. Come? Attraverso le tecnologie più avanzate che si basano sul riconoscimento biometrico: eliminando di fatto le password – che sono corruttibili – e sostituendovi lo stesso utente si ottiene un notevole miglioramento della customer experience e l’eliminazione dei rischi generati dagli errori umani. L’accesso ai sistemi informatici si basa infatti sul riconoscimento facciale, sull’identificazione della retina o delle impronte digitali: praticamente impossibile sbagliare.
Quello del riconoscimento biometrico è un mondo in continua evoluzione e molto probabilmente sarà il futuro della sicurezza digitale. Basti pensare che esistono soluzioni (come quella di Keyless) che sono costruite su nuove tecniche crittografiche – a loro volta basate sull’intelligenza artificiale e il machine learning – Keyless non processa nessun dato biometrico personale dell’utente, poiché l’input biometrico viene crittografato e suddiviso nel cloud, dove i dati vengono poi elaborati in forma decentralizzata. L’utente non deve ricordare nulla né portare con sé dispositivi aggiuntivi, Tra l’altro sono soluzioni progettate per integrarsi perfettamente con ogni piattaforma, sistema operativo o dispositivo di cui l’utente è proprietario. E sono realtà che già esistono e funzionano: noi di Keyless lo abbiamo testato in Italia, proprio nel corso della pandemia. In alcune settimane, sfruttando l’integrazione rapida con Cisco, abbiamo abilitato il riconoscimento biometrico di più di 10.000 studenti dell’Università Luiss, che hanno potuto svolgere l’esame da remoto in piena sicurezza. Ed è solo una delle possibili applicazioni nel mondo digitale che questo complesso 2020 ci lascia in eredità.