AS_07_2019

Automazione e Strumentazione Ottobre 2019 EDITORIALE primo piano 9 ho l’onore di essere il coordinatore del Corso di Laurea Magistrale di Automation Engineering presso il mio Ateneo. Confrontandomi con gli studenti che mi chiedono informazioni sul corso, spesso mi domando se sia ancora appropriato ritenere l’automazione una ‘tecnologia nascosta, invisibile’, data la sua natura pervasiva ma scarsamente percepita dai non addetti ai lavori. Creare automazione significa creare macchine che migliorano o sostituiscono interamente l’intervento umano in un processo. Pur essendo pienamente nel ventunesimo secolo, moltissime persone, di sicuro la maggioranza delle persone con cui mi trovo a discutere dell’argomento, associa l’automazione ad azioni elementari, come aprire un cancello o preparare un caffè (sono consapevole di aver scelto un esempio che potrebbe generare ben più ampie discussioni). Al contrario, le azioni più fantascientifiche rese possibili dalla nostra disciplina, come guidare un laser che scolpisce un ingranaggio con un dente più piccolo di un globulo rosso (10 micron), o come permettere al pilota dello spettacolare caccia Eurofighter F-2000A di far volteggiare come una rondine dieci tonnellate di metallo alla velocità pari al doppio di quella del suono, o ancora come permettere ai pazienti diabetici di indossare un pancreas artificiale miniaturizzato che calcola e somministra la giusta quantità di insulina ad ogni istante della loro vita, sono per l’immaginario collettivo traguardi raggiunti da altri settori dell’ingegneria (nell’ordine degli esempi: meccanica, aeronautica, biomedica). Per fortuna gli addetti ai lavori sanno di non doversi preoccupare: le frontiere dell’automazione sono in perpetua espansione, sospinta dalla creatività di persone capaci di percepirne le potenzialità nei più disparati domini applicativi. Contribuire al mondo dell’automazione significa anche e soprattutto immaginarne l’impiego in circostanze altrettanto ‘invisibili’, superare l’ovvietà o ciò che già è stato concepito. Un esempio emblematico che uso spesso sono i veicoli autonomi per il monitoraggio continuo delle infrastrutture ferroviarie di molte regioni del globo e delle linee metropolitane di tutte le più grandi città del mondo, nessuna esclusa. Pochi sanno che questi veicoli sono tutti prodotti da una ambiziosa azienda interamente italiana. I veicoli ispezionano la rete in modo da individuare, automaticamente e molto prima che esse generino pericolo per i passeggeri, anomalie di ogni genere. Non occorre sottolineare che scoprire un difetto di pochi millimetri muovendosi su una rete di infrastrutture lunghe decine di migliaia di chilometri equivale a cercare un ago in un pagliaio grande come una città. Nella realizzazione dei primi prototipi, i progettisti hanno dovuto affrontare problemi di ‘Big Data’ ante- litteram, contribuendo allo sviluppo di sistemi di elaborazione dell’informazione capaci di analizzare quantità impressionanti di dati in tempo reale, mentre il veicolo compie le sue ispezioni, cogliendo in maniera esemplare lo spirito della nostra disciplina. Vedendo gli articoli della stampa considerare questo successo del Made in Italy come un importante traguardo dell’Ingegneria dei Trasporti mi è venuto da sorridere, come sicuramente sarà successo a molti miei colleghi. Possiamo sorridere, nella consapevolezza di aver contribuito al progresso senza sentire la necessità di essere in prima fila per gli onori, certi del fatto che senza l’automazione il futuro resta tale. Da ormai quattro anni La tecnologia che non si vede, ma fa la differenza Politecnico di Bari David Naso

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